Comincerei col guardare al bicchiere mezzo pieno.
Dovrebbe essere abbastanza evidente – ma non sempre pare che lo sia – che, se non si passa dal momento della protesta al momento della proposta, la questione maschile continuerà a rimanere nelle posizioni marginali di partenza senza riuscire a fare il benché minimo passo in avanti.
Per questo motivo, nel nostro piccolo abbiamo cominciato a fornire spunti di riflessione sugli istituti legislativi intorno ai quali sarebbe necessario intervenire in sede politica, mettendo quantomeno i singoli problemi sul tappeto perché se ne cominci a ragionare, qui o altrove, nella maniera più ampia, autonoma ed articolata possibile.
Tra le altre, abbiamo preso in esame anche la problematica dell’assegno di mantenimento e dell’assegno divorzile conseguenti a separazioni e divorzi, con una proposta esplicita - e volutamente provocatoria - di abrogazione pura e semplice dell’art. 156 del codice civile; ossia, la soppressione definitiva di qualunque ipotesi di mantenimento economico che una parte deve all'altra, a seguito della separazione e/o dell'eventuale divorzio (fermi restando, ovviamente, gli obblighi giuridici e morali nei confronti dei figli).
E’ intervenuto sulla stessa materia – e questo è il bicchiere mezzo pieno – anche Marco Faraci, con un articolo pubblicato nei giorni scorsi dal sito Libertiamo.
La proposta in materia di Marco, che ricalca quella già circolante anche tra alcune associazioni di padri separati, riguarda invece l’introduzione nell’ordinamento civilistico dei patti pre-matrimoniali, la cui adozione dovrebbe portare - ex se o per via esplicitamente abrogativa - alla “dismissione” ed al sostanziale superamento dei mantenimenti accordati dal giudice.
Si tratterebbe, in buona sostanza, di un trasferimento preventivo della potestà decisionale dalla mano pubblica (la legge e il tribunale) a quella privata (i neo-sposi), nel quadro di quella dottrina secondo la quale il matrimonio, pur non potendosi rigorosamente iscrivere nella categoria dei contratti, rimane pur sempre un “negozio giuridico” in cui la libera determinazione preventiva delle parti assumerebbe la sostanza di lex specialis.
Il trattamento di fine rapporto, se ammettiamo questa definizione giuslavorista della separazione, sarebbe pertanto disciplinato in origine dall'ipotizzato strumento pattizio, rendendo prefissati, certi e vincolanti gli esiti patrimoniali di un'eventuale rottura coniugale.
Per farla semplice, un contratto come gli altri con tanto di clausole di rescissione.
Di questa soluzione, i cui contenuti specifici sono illustrati in modo più che pregevole ed esaustivo nell’articolo che commentiamo, ognuno può farsi la propria idea; espongo le mie considerazioni personali, con ciò passando ad osservare e descrivere anche il bicchiere mezzo vuoto che vedo.
La concezione del matrimonio a termine – osserva Marco Faraci – è diventata mentalità diffusa, tanto che l’eventualità di un’unione coniugale che nasca con le premesse scritte della sua stessa conclusione va considerata, allo stato, come un dato di normalità corrente.
E’ uno dei diversi tributi - aggiungerei - che si paga al declino dell’etica del sacrificio e della responsabilità, per la sua sostanziale incompatibilità con le predominanti esigenze soggettive dell’ego radicale ed autoreferenziale; declino che ispira il corso contemporaneo della vita sociale e di relazione.
Volenti o nolenti, tuttavia, la realtà sembra essere proprio questa; ma è proprio questa la realtà che ci piace difendere e conservare?
Nella proposta dei patti pre-matrimoniali c’è, con ogni evidenza, una certa idea di famiglia – e, quindi, una certa idea di società – che antepone il valore delle libertà individuali ad una concezione, anche minima e non invasiva, di bene comune; ma c’è anche di più.
Viene ad essere investito anche il ruolo e la funzione della politica, nel senso che si tratta di accordarsi se compito della classe dirigente sia quello di assecondare passivamente le tendenze in atto e gli umori della c.d. società civile - limitando la propria funzione alla notarile registrazione dei mutamenti sociali in corso - o se il suo compito sia qualcosa più di questo; magari, quello di dare un indirizzo generale in base anche ad altri valori che non siano, in maniera prevalente ed esclusiva, le libertà dell’individuo e i suoi diritti soggettivi.
C’è il valore della stabilità familiare, per la continuità affettiva ed educativa che garantisce ai bambini; c’è il valore della funzione di welfare sussidiario che la famiglia può garantire al posto del macchinoso e costoso apparato pubblico; c’è, non da ultimo, il valore dell’autenticità e della profondità dei rapporti umani, che non possono essere ridotti a mero negoziato quotidiano senza rimanere amputati della loro parte più viva e migliore.
Non è necessario e neanche utile essere cattolici fondamentalisti per osservare il politeismo dei valori in gioco; il rischio che vedo è, semmai, quello della riduzione della complessità a monoteismo valoriale.
Se formulo queste obiezioni di merito alla proposta di Marco non è certo per vis polemica nei suoi confronti; al contrario.
Tornando al bicchiere mezzo pieno da cui siamo partiti, considero il suo contributo all'avvio di un dibattito costruttivo su questi temi quanto di più prezioso ed utile ci possa essere.
La questione maschile è, tra le altre cose, un processo di consapevolezza crescente che si nutre - deve nutrirsi, a mio avviso - di riflessioni, approfondimenti, proposte, tentativi, osservazioni, confronti, idee e convinzioni, anche a costo di andare a toccare quelle differenze di approccio "ideologico" con le quali, inevitabilmente, ciascuno di noi interpreta le cose e le organizza nella propria esperienza.
Il momento del no è la parte più facile; è nel momento del sì che nascono le difficoltà, le distinzioni e le potenziali divisioni.
C'è chi vuole andare da una parte, chi dall'altra, chi preferisce rimanere fermo.
Qualcuno potrebbe obiettare che in questo modo si complica maledettamente la vita di una questione già complicata per sua natura.
Ad una simile obiezione risponderei che è vero; si tratta di una complicazione ma che è un passaggio obbligato, un sentiero da intraprendere per forza se non si vuole rimanere al palo.
Non per stabilire chi sta da una parte e chi dall'altra, non per andare a caccia delle possibili divergenze ma per lavorare ad una presa di coscienza e ad una chiarezza del quadro d'insieme, senza la quale si è, comunque, disarmati.
E per trovare, alla fine, ogni utile elemento di convergenza, di coesione e di forza comune.
Perché se non lo si cerca non lo si trova sicuramente.