"...il sasso nello stagno, il primo che si intende lanciare da questo blog, non ha pretese di mobilitazione di alcun tipo, né intende promuovere particolari ed illusorie campagne per le quali servirebbero ben altri indici d'ascolto, partecipazioni e legittimazione popolare. Vuole essere solo uno stimolo alla riflessione del lettore ed un invito a considerare scenari possibili sulla base di ipotesi definite."
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Il momento dell'analisi è stimolante, non di rado persino appassionante.
Chi di noi non si è mai cimentato con l'analisi della partita, quella del giorno dopo, quando più o meno tutti sapevamo, col famoso senno di poi, come sarebbe andata a finire?
Che dire, poi, della situazione politica, intorno alla quale - peraltro legittimamente - ciascuno di noi si esibisce come opinionista e analista più o meno sottile, a volte anche in mancanza di elementi certi di conoscenza e valutazione.
Il mito dell'analisi è entrato in modo stabile nel nostro modo di approcciare la realtà anche per effetto indotto dalle discipline psicanalitiche, le quali ci hanno reso consapevoli che dietro ad una certa apparenza delle cose umane si cela, molto spesso, una sostanza insospettabile, illuminata la quale muta il nostro sguardo e la nostra percezione dei fatti, per dare origine ad una visione completamente nuova delle cose che siamo soliti definire consapevolezza.
Per altri aspetti l'analisi, l'andare alla ricerca dei motivi, delle cause, dei presupposti e delle premesse di determinati avvenimenti, fenomeni o stati di fatto è un pò come partecipare al rito di un processo pubblico, un dibattimento che ha come obiettivo la determinazione del Vero e del Giusto.
Benché di per sé sia un procedimento senza dirittura d'arrivo, dal momento che Vero e Giusto non sono mai assoluti nell'esperienza storica, ci sentiamo comunque parte di una presa di coscienza collettiva alla quale ciascuno di noi contribuisce con la propria intelligenza, sensibilità e cultura.
E' opportuno e lecito che ciò avvenga ed è anche espressione libera ed autentica di partecipazione ad una vicenda comune.
E' ciò che - secondo certe scuole di pensiero quale l'interazionismo simbolico - potrebbe definirsi come costruzione sociale della realtà; la costruzione spontanea del "senso comune" simbolico, mediato in forma linguistica, attraverso l'interazione vitale della comunicazione quotidiana.
Neanche la questione maschile sfugge a questa dinamica; questo stesso blog ne è parte attiva, proponendo analisi e versioni dei fatti politici, sociali e culturali che coinvolgono il rapporto tra i sessi, con una lettura non conformata ai modelli dominanti e con il deliberato scopo di influenzare il senso comune consolidato intorno a certe questioni per riportarlo, contestandolo nel merito, ad una verifica di validità.
L'analisi - per quanto necessaria e sempre (o quasi sempre) utile ad orientarci nelle cose della vita - non può, tuttavia, essere perpetua.
Un'ordinaria concezione dialettica della ragione comune prevede che il momento della sintesi abbia comunque luogo in un certo momento e che ogni tanto quel processo pubblico di cui tutti siamo partecipi dia origine ad una qualche sentenza; quantomeno di primo grado, sempre appellabile e rivedibile ma provvisoriamente definita e depositata per le relative operazioni esecutive.
Si tratta, per dirla in soldoni, di capire dov'è che si vuole andare a parare dopo tante analisi sulla condizione maschile, anche per evitare di continuare indefinitamente con articoli e riflessioni che finirebbero, in modo inevitabile, per arrotolarsi sulle medesime tematiche in un'estenuante ed improduttiva ripetizione di cose già dette.
Proviamo, quindi, ad immaginare una strada percorribile, in concreto, come peraltro già fanno, sul terreno specifico delle paternità negate, le molte associazioni di padri separati che, senza stare sempre a ragionare dei massimi sistemi, hanno messo sul tappeto problematiche giuridiche concrete e misurabili, ottenendo un ascolto pubblico di gran lunga superiore, allo stato, di quello che può vantare la QM in assoluto.
Naturalmente, il sasso nello stagno, il primo che si intende lanciare da questo blog, non ha pretese di mobilitazione di alcun tipo, né intende promuovere particolari ed illusorie campagne per le quali servirebbero ben altri indici d'ascolto, partecipazioni e legittimazione popolare. Vuole essere solo uno stimolo alla riflessione del lettore ed un invito a considerare scenari possibili sulla base di ipotesi definite.
Lo scenario che si intende prefigurare in questo primo approccio, senza ulteriori fronzoli discorsivi, è quello che potrebbe realisticamente derivare dall'abrogazione - o dalla modifica sostanziale - dell'articolo 156 del codice civile; il quale prevede quanto appresso:
Questa norma è stata introdotta nell'ordinamento con la famigerata legge Baslini-Fortuna sul divorzio approvata nel 1970, in un contesto sociale nel quale la normalità delle situazioni coniugali prevedeva, dati i tempi, un marito lavoratore ed una moglie casalinga; ossia, la condizione di sostanziale dipendenza economica della moglie dal marito, determinata dalla rigida suddivisione dei ruoli familiari, era la situazione più largamente diffusa sul piano sociale e la legge non poteva non tenerne conto.
La giurisprudenza che si sarebbe consolidata nei decenni successivi nell'applicazione concreta della norma ne ha, tuttavia, deformato la ratio, introducendo il noto principio secondo il quale il mantenimento deve consentire la conservazione del tenore di vita raggiunto con il matrimonio; la formulazione letterale dell'assenza di adeguati redditi propri è stata, in altre parole, ampliata a dismisura trasformando il rapporto coniugale in una vera e propria forma di investimento economico per le (sempre più numerose) cacciatrici di rendite di posizione.
In ordine a questo tipo di problematiche si è parlato, non a caso, di divorzifici o di fabbrica dei divorzi.
Peraltro, con buona pace delle invocate parità tra i sessi, a tutt'oggi la possibilità che una facoltosa manager in carriera sposi un benzinaio o un modesto ragioniere sono inverosimili e puramente teoriche; mentre il contrario - il ricco commerciante che sposa la sua commessa o l'agiato vegliardo che sposa la sua badante, ad esempio - continuano ad essere un dato di assoluta normalità.
Ad ulteriore aggravante della situazione in cui può venirsi a trovare un uomo in sede di separazione va anche considerato l'affido dei figli e la relativa assegnazione della casa familiare; questa è materia già affrontata, in concreto, dalle associazioni dei padri separati ai quali va, ovviamente, la nostra piena solidarietà.
Ecco, senza stare ad enumerare le infinite considerazioni che possono essere associate alla situazione sociale e giuridica vigente, si tratta di immaginare quale sostanziale riequilibrio nel rapporto tra i sessi comporterebbe la semplice abrogazione del citato art. 156, oltre alla fondamentale revisione della legislazione riguardante l'affido dei minori.
Se domattina non esistesse più quella norma e l'eventuale separazione coniugale riportasse tanto l'uno quanto l'altra allo status quo ante della condizione personale - fatte salve le obbligazioni di mantenimento nei confronti dei figli in comune - cosa cambierebbe nelle dinamiche di relazione uomo-donna?
E quali scenari di cambiamento anche sul piano culturale aprirebbe questa semplice modifica legislativa?
Chi scrive è convinto che il mutamento che ne deriverebbe sarebbe talmente profondo da riverberarsi sull'intero assetto della vita di relazione, esattamente com'è avvenuto con l'introduzione del divorzio che ha radicalmente modificato i nostri stili di vita.
Provare ad immaginare soluzioni concrete e strade percorribili non sembra tempo perso.
Il primo sasso nello stagno è lanciato e, comunque vada, altri ne seguiranno.
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Il momento dell'analisi è stimolante, non di rado persino appassionante.
Chi di noi non si è mai cimentato con l'analisi della partita, quella del giorno dopo, quando più o meno tutti sapevamo, col famoso senno di poi, come sarebbe andata a finire?
Che dire, poi, della situazione politica, intorno alla quale - peraltro legittimamente - ciascuno di noi si esibisce come opinionista e analista più o meno sottile, a volte anche in mancanza di elementi certi di conoscenza e valutazione.
Il mito dell'analisi è entrato in modo stabile nel nostro modo di approcciare la realtà anche per effetto indotto dalle discipline psicanalitiche, le quali ci hanno reso consapevoli che dietro ad una certa apparenza delle cose umane si cela, molto spesso, una sostanza insospettabile, illuminata la quale muta il nostro sguardo e la nostra percezione dei fatti, per dare origine ad una visione completamente nuova delle cose che siamo soliti definire consapevolezza.
Per altri aspetti l'analisi, l'andare alla ricerca dei motivi, delle cause, dei presupposti e delle premesse di determinati avvenimenti, fenomeni o stati di fatto è un pò come partecipare al rito di un processo pubblico, un dibattimento che ha come obiettivo la determinazione del Vero e del Giusto.
Benché di per sé sia un procedimento senza dirittura d'arrivo, dal momento che Vero e Giusto non sono mai assoluti nell'esperienza storica, ci sentiamo comunque parte di una presa di coscienza collettiva alla quale ciascuno di noi contribuisce con la propria intelligenza, sensibilità e cultura.
E' opportuno e lecito che ciò avvenga ed è anche espressione libera ed autentica di partecipazione ad una vicenda comune.
E' ciò che - secondo certe scuole di pensiero quale l'interazionismo simbolico - potrebbe definirsi come costruzione sociale della realtà; la costruzione spontanea del "senso comune" simbolico, mediato in forma linguistica, attraverso l'interazione vitale della comunicazione quotidiana.
Neanche la questione maschile sfugge a questa dinamica; questo stesso blog ne è parte attiva, proponendo analisi e versioni dei fatti politici, sociali e culturali che coinvolgono il rapporto tra i sessi, con una lettura non conformata ai modelli dominanti e con il deliberato scopo di influenzare il senso comune consolidato intorno a certe questioni per riportarlo, contestandolo nel merito, ad una verifica di validità.
L'analisi - per quanto necessaria e sempre (o quasi sempre) utile ad orientarci nelle cose della vita - non può, tuttavia, essere perpetua.
Un'ordinaria concezione dialettica della ragione comune prevede che il momento della sintesi abbia comunque luogo in un certo momento e che ogni tanto quel processo pubblico di cui tutti siamo partecipi dia origine ad una qualche sentenza; quantomeno di primo grado, sempre appellabile e rivedibile ma provvisoriamente definita e depositata per le relative operazioni esecutive.
Si tratta, per dirla in soldoni, di capire dov'è che si vuole andare a parare dopo tante analisi sulla condizione maschile, anche per evitare di continuare indefinitamente con articoli e riflessioni che finirebbero, in modo inevitabile, per arrotolarsi sulle medesime tematiche in un'estenuante ed improduttiva ripetizione di cose già dette.
Proviamo, quindi, ad immaginare una strada percorribile, in concreto, come peraltro già fanno, sul terreno specifico delle paternità negate, le molte associazioni di padri separati che, senza stare sempre a ragionare dei massimi sistemi, hanno messo sul tappeto problematiche giuridiche concrete e misurabili, ottenendo un ascolto pubblico di gran lunga superiore, allo stato, di quello che può vantare la QM in assoluto.
Naturalmente, il sasso nello stagno, il primo che si intende lanciare da questo blog, non ha pretese di mobilitazione di alcun tipo, né intende promuovere particolari ed illusorie campagne per le quali servirebbero ben altri indici d'ascolto, partecipazioni e legittimazione popolare. Vuole essere solo uno stimolo alla riflessione del lettore ed un invito a considerare scenari possibili sulla base di ipotesi definite.
Lo scenario che si intende prefigurare in questo primo approccio, senza ulteriori fronzoli discorsivi, è quello che potrebbe realisticamente derivare dall'abrogazione - o dalla modifica sostanziale - dell'articolo 156 del codice civile; il quale prevede quanto appresso:
Art. 156.
Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi.
Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri.
L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato.
Resta fermo l'obbligo di prestare gli alimenti di cui agli articoli 433 e seguenti.
......omissis.......
Questa norma è stata introdotta nell'ordinamento con la famigerata legge Baslini-Fortuna sul divorzio approvata nel 1970, in un contesto sociale nel quale la normalità delle situazioni coniugali prevedeva, dati i tempi, un marito lavoratore ed una moglie casalinga; ossia, la condizione di sostanziale dipendenza economica della moglie dal marito, determinata dalla rigida suddivisione dei ruoli familiari, era la situazione più largamente diffusa sul piano sociale e la legge non poteva non tenerne conto.
La giurisprudenza che si sarebbe consolidata nei decenni successivi nell'applicazione concreta della norma ne ha, tuttavia, deformato la ratio, introducendo il noto principio secondo il quale il mantenimento deve consentire la conservazione del tenore di vita raggiunto con il matrimonio; la formulazione letterale dell'assenza di adeguati redditi propri è stata, in altre parole, ampliata a dismisura trasformando il rapporto coniugale in una vera e propria forma di investimento economico per le (sempre più numerose) cacciatrici di rendite di posizione.
In ordine a questo tipo di problematiche si è parlato, non a caso, di divorzifici o di fabbrica dei divorzi.
Peraltro, con buona pace delle invocate parità tra i sessi, a tutt'oggi la possibilità che una facoltosa manager in carriera sposi un benzinaio o un modesto ragioniere sono inverosimili e puramente teoriche; mentre il contrario - il ricco commerciante che sposa la sua commessa o l'agiato vegliardo che sposa la sua badante, ad esempio - continuano ad essere un dato di assoluta normalità.
Ad ulteriore aggravante della situazione in cui può venirsi a trovare un uomo in sede di separazione va anche considerato l'affido dei figli e la relativa assegnazione della casa familiare; questa è materia già affrontata, in concreto, dalle associazioni dei padri separati ai quali va, ovviamente, la nostra piena solidarietà.
Ecco, senza stare ad enumerare le infinite considerazioni che possono essere associate alla situazione sociale e giuridica vigente, si tratta di immaginare quale sostanziale riequilibrio nel rapporto tra i sessi comporterebbe la semplice abrogazione del citato art. 156, oltre alla fondamentale revisione della legislazione riguardante l'affido dei minori.
Se domattina non esistesse più quella norma e l'eventuale separazione coniugale riportasse tanto l'uno quanto l'altra allo status quo ante della condizione personale - fatte salve le obbligazioni di mantenimento nei confronti dei figli in comune - cosa cambierebbe nelle dinamiche di relazione uomo-donna?
E quali scenari di cambiamento anche sul piano culturale aprirebbe questa semplice modifica legislativa?
Chi scrive è convinto che il mutamento che ne deriverebbe sarebbe talmente profondo da riverberarsi sull'intero assetto della vita di relazione, esattamente com'è avvenuto con l'introduzione del divorzio che ha radicalmente modificato i nostri stili di vita.
Provare ad immaginare soluzioni concrete e strade percorribili non sembra tempo perso.
Il primo sasso nello stagno è lanciato e, comunque vada, altri ne seguiranno.