Game over






Scelgo l'8 marzo per dichiarare fallimento.
E' una data simbolica, il giorno giusto per la sconfitta.
Quando tre anni fa cominciai questa piccola, modesta esperienza di "narrazione" ed informazione alternativa alla cultura mainstream, non avevo in mente un obiettivo preciso.
Avvertivo solo con forza, con la consapevolezza che mi accompagna già da molto tempo, di volermi sottrarre ad un maltrattamento culturale e mediatico di cui percepisco la violenza sin da quando ho l'età della ragione, e di volerlo dire pubblicamente.
Sono un uomo, sono nato maschio e quindi faccio parte - così si dice - di quella metà del consorzio umano che assoggetta, sottomette e discrimina l'altra metà; la mio posizione nel mondo sarebbe quella del dominatore; deterrei un potere usurpato e fondato sull'oppressione; sarei intimamente un violento, un molestatore, un «maskio assassino»; il mio tempo sta per finire ed è giusto così perché il mondo sarà sempre più donna.
Sentirsi ripetere queste cose sin da bambino è una cosa che ti condiziona la vita.
E non capisci.
Ti guardi allo specchio e vedi qualcosa di diverso da quello che ti raccontano, che vogliono farti credere, dalle colpe che ti attribuiscono.
Si dirà: «...ma mica ce l'hanno direttamente con te».
Il che è una scemenza senza pari, perché se non ce l'hanno con qualcuno in particolare parlano di colpe collettive e dunque - ammesso e non concesso che le colpe collettive esistano - vuol dire che ce l'hanno proprio con tutti noi, me compreso.
Secondo quella logica storta e sgangherata se dicessi che «i negri puzzano» nessuna persona di colore dovrebbe risentirsi. Invece si risentono, eccome, e giustamente, e come mai?
Vaglielo a spiegare a certi pozzi di scienza che il pregiudizio, anche quando è alimentato dai deboli, sempre pregiudizio rimane.
La sconfitta non sta nelle cose, né nella mancanza personale di reazione.
Ma nella solitudine della tua reazione isolata, nella latitanza di chi dovrebbe averla insieme a te, nell'acquiescenza inerte e passiva dei padri, dei fratelli, degli amici e dei tuoi simili che non ti affiancano nel mettere i limiti che servirebbero, dai quali non avverti sostegno e condivisione.
La sconfitta è in quel sentimento di isolamento e solitudine, rispetto a questi problemi, che anche scrivendo su questo blog è rimasto come l'unica certezza.
Freud sosteneva che uno dei bisogni fondamentali dell'essere umano è il bisogno di protezione e che, anche per questo, non riusciva a pensare ad una figura più importante nella crescita dell'individuo della figura del padre.
Ma oggi il padre è morto, l'hanno ucciso ed hanno condannato ogni solidarietà tra uomini come maschilismo e ritorno al patriarcato.
Una cosa inqualificabile, dicono.
Ora ci sono invece i "fabiofazio", il nuovo prototipo antropologico maschile di marca progressive.
Dicono ancora che durante il festival di Sanremo la Littizzetto lo apostrofasse con espressioni come «sei un cretino!» ottenendone in cambio un mansueto sorrisetto di circostanza, se non addirittura di masochistico e mite compiacimento.
Se qualcuno osasse rivolgersi alla Littizzetto dicendogli «sei una cretina!» il giorno dopo ci sarebbero manifestazioni furenti di piazza contro il maschilismo imperante nella cultura, interrogazioni parlamentari a dozzine, l'offesa sarebbe avvertita collettivamente come mancanza di rispetto alle donne tutte e ci sarebbero mobilitazioni sociali come, di volta in volta, con la Bindi, la grillina del punto G e con altre campionesse di categoria (guardateveli questi link, sono istruttivi).
Invece, dalla nostra parte ci stanno i fabifazi a metraggio, uno uguale all'altro, a cui piace farsi maltrattare dalla compare di palcoscenico o di vita quotidiana e tu non capisci, non riesci davvero a capire, come possa essere così. Senza neanche sapere cosa far seguire a quel «così» a cui potrebbe seguire qualunque aggettivo senza arrivare mai a completare quello che vuoi dire.
Hai voglia a scrivere su un blog quando le condizioni sono, penosamente, queste.
Certo, la battaglia solitaria ha un che di epico, magari oltre che disinteressato e generoso, anche un po' ingenuamente naive, donchisciottesco.
Però ti logora le energie senza portare a nulla, perché non è il tuo cuore che deve andare oltre l'ostacolo ma è il cuore di chi dovrebbe sentirsi come ti senti tu, per ragionevole rispetto di sé stesso,  che non senti battere.
Di questi risultati, dopo tre anni di tentativi, in alcuni momenti anche intensi, devo realisticamente riconoscere che non ne ho ottenuti o, quantomeno, non in maniera significativa.
Ho fatto del mio meglio ma non era abbastanza, evidentemente.
E per quanto dispiaccia non posso fare altro che ammettere la sconfitta.
Quella sconfitta emblematicamente riflessa nella teoria del femminicidio, tanto per dire.
Non so quanti si rendano conto che la teoria del femminicidio ha già vinto, contro ogni evidenza, ma non perché sia vera, fondata, ragionevole; ha vinto semplicemente perché la parola è stata introdotta come un virus nel frasario corrente, la gente la usa senza neanche conoscerne il significato e la propaganda anche senza volerlo.
Il motivo è anche semplice: la gente non ha bisogno di sapere come stanno veramente le cose, cosa significano e dove portano, ha solo bisogno di credere in qualcosa.
Siamo prigionieri di questa espropriazione dell'universo simbolico che alcuni/e hanno colonizzato per imporre il loro modo di pensare, di sentire, di stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato per tutti.
«L'Italia giusta» recita un recente slogan elettorale; si presuppone un'altra parte di mondo che, se non è conseguentemente sbagliata, è quantomeno ingiusta e perciò deve tacere.
Questa è l'idea malata di democrazia nella quale siamo precipitati come in un pozzo.
Allora tanto vale tacere, lasciare la parola solo ai "giusti", ai fabifazi, ai rivoluzionari da quattro soldi e ai salvatori dell'umanità in servizio permanente effettivo.
Il futuro è donna, continuano a dire.
Lo spazio per la parte maschile si va restringendo di giorno in giorno, ma la gente vuole credere in questa nuova utopia, nella profezia sciagurata di un mondo migliore, anzi perfetto, perché senza uomini.
Inutile affannarsi a farli ragionare.
Si sono già messi tutti in coda.
Game over



P.S. - Colgo l'occasione per salutare e ringraziare pubblicamente tutti coloro - primo tra i quali, Massimiliano - che hanno contribuito alla gestione anche tecnica del blog.
Ad maiora