Il corpo delle donne

E’ stato in qualche momento degli anni sessanta che una disegnatrice di moda, a nome Mary Quant, ha ideato la minigonna mettendo sostanzialmente in mutande, con una certa abituale frequenza da allora in avanti, le donne di mezzo mondo.
Sino a quel momento "il corpo delle donne" non aveva conosciuto un'esposizione ed una visibilità pubblica tanto pronunciata, mentre  il pudore femminile nel mettersi in mostra era ancora considerato un valore sociale positivo.

Coerentemente con quella tradizionale discrezione dei costumi, anche il rapporto tra i sessi si era svolto, nell'Italia in divenire del dopoguerra, all'insegna di un galateo delle maniere che posizionava l'erotismo - preceduto e disciplinato dalla sfera del sentimento - nella sede separata ed esclusiva dell'intimità di coppia; allo stesso tempo, il sesso commerciato come genere di consumo era vissuto da una ridotta minoranza sociale nella zona grigia e marginale delle "case chiuse", a distanza di sicurezza dalla vita ordinaria, dall'esibizione pubblica e da altre forme di trasgressione.
La minigonna, invece, diventa da subito uno dei simboli della liberazione femminile dal giogo della moralità "borghese, reazionaria e repressiva", contro la quale il femminismo - in alleanza con i movimenti contestativi dell'epoca - scatena quella "rivoluzione sessuale", che ha come obiettivo prioritario l'affrancamento dalle regole patriarcali della famiglia ed il distacco dai ruoli tradizionali di moglie e madre.
Saranno intere generazioni di ragazze a cavalcare, con entusiastica e leggerissima frivolezza, quella moda all'insegna della libertà trasgressiva che segnerà figurativamente la linea di confine tra un'epoca e l'altra; tra la donna  moderna al passo coi tempi e la "madre di famiglia", tra l'apertura mentale e la chiusura al "nuovo", tra la donna laicamente protesa al progresso incessante e la comare bigotta.
«Io sono mia», lo slogan che prende piede in quegli anni e si radica nella coscienza collettiva femminile in modo indelebile, stava anche a significare «il corpo è mio e ne faccio quello che voglio, compreso metterlo liberamente in mostra nei modi che preferisco».
Conseguente alla "conquista" della minigonna, infatti, avrà luogo la battaglia per il topless - il diritto a denudarsi il seno in spiaggia - in nome del quale verranno bruciati i reggiseni nel corso delle manifestazioni femministe dei decenni successivi e che si protrarrà, come un anelito insoddisfatto di libertà femminili negate, sino ai nostri giorni (come dimostra il recente episodio di cronaca estiva che abbiamo trattato, frettolosamente, con un breve articolo a cui facciamo rinvio).
Nel frattempo, le coordinate del "comune senso del pudore" - su cui si impegnerà anche l'industria cinematografica con il noto film - vengono spostate in continuazione in nome di libertà femminili asseritamente conculcate dalle culture repressive ed oscurantiste della tradizione, della moralità cattolica e della sua asserita ipocrisia perbenista.
Alla guida di questa ribellione costante in nome delle "libertà femminili" e delle ostentazioni spregiudicate del corpo si metterano proprio le intellettuali femministe; nasce la letteratura erotica al femminile, con i libri scandalo di Erika Jong e "Porci con le ali" di Lidia Ravera, solo per citarne alcuni, sino ad arrivare al femminismo pornografico di Annabelle Chong.
Sarà con la fine della prima repubblica e con il declino della DC che anche alla RAI si potrà, con grande sollievo del pubblico progressista, assistere a spettacoli di ballerine in mutande, pubblicità ammiccanti e, in tarda serata, persino a spettacoli di spogliarello parziale nei quali si distinguerà - ne ho perfetta memoria - l'allora celeberrima Rosa Fumetto.
Con gli anni novanta arriva anche la moda dei pantaloni a vita bassa, un altro modo di mettersi in mostra ai confini estremi delle parti intime; "il corpo delle donne" oramai sembra non avere più segreti da svelare che non siano già rivelati pubblicamente in tutti i possibili modi dall'abbigliamento delle donne comuni.
I pochi, timidi ed isolati tentativi che alcuni presidi mettono in atto per evitare che le studentesse arrivino nelle classi con il pube in bella mostra vengono stigmatizzati dai genitori per primi - madri in testa - e dai nuovi perbenisti istituzionali della psicologia antiautoritaria poi.
Diventa una moda ancora più pruriginosa e sfacciata, in tempi più recenti, quella delle dive pop senza mutande che sfidano apertamente, sotto l'occhio di riflettori e telecamere, un senso comune del pudore ormai svuotato di qualunque significato condiviso, per dare coscientemente e deliberatamente scandalo di fronte al mondo.

A dispetto di una storia così impudicamente protesa a giustificare ogni forma di narcisismo ed esibizionismo femminile, dalla minigonna in poi, oggi ci vengono a raccontare che "il corpo delle donne" sarebbe offeso ed umiliato dal maschilismo imperante (sic!), la Zanardo ci va facendo persino i filmati denuncia e quello stesso femminismo urlante che ha fatto la rivoluzione sessuale e sdoganato ogni puttanata femminile va gridando "basta" nelle piazze, animato da un vittimismo che, se non fosse strillato a voce così alta, sarebbe da considerarsi una pura e semplice barzelletta.
Sembra impossibile che vengano a raccontarci la realtà in un modo tanto grottescamente mistificatorio, eppure è esattamente questo che succede e un esercito di gonzi - sordi e ciechi alla realtà dei fatti - ci casca con tutte le scarpe esercitandosi in un mea culpa quotidiano senza alcun senso.
Da notare che la carrellata di "corpi femminili" in bella mostra, liberamente estratti dal web e parte integrante di questo resoconto della realtà, ci parla di immagini di vita comune, non di induzioni televisive perpetrate dalla spectre segreta del maschilismo, come vanno farneticando femministe senza memoria, senza ritegno e senza logica.
Tanto da precisare per quelli o quelle che ancora non se ne fossero accorti.