“Sulle orme del padre” è un libro eccellente scritto da Antonio Bertinelli il quale, come indica la breve presentazione di copertina, è docente di diritto e persona impegnata nel volontariato.
La pubblicazione, curata dall’editore Altrosenso di Belluno, è un prodotto chiaramente artigianale e pressoché irreperibile nel circuito distributivo ordinario delle librerie, tanto che per acquistarlo si deve comunicare direttamente con l’autore all'indirizzo bertinelli.a@libero.it .
Il motivo di tanta distanza di un libro dalla “cultura ufficiale” va ricercato, con ogni evidenza, non certo nella caratura artigianale della forma quanto, piuttosto, nella dimensione specifica dei contenuti; si tratta di non confondere la causa con l’effetto.
I contenuti di questo libro sono, infatti, contenuti non allineati, “eretici”, sicuramente indigesti all'ortodossia della cultura women-friendly e, probabilmente per questo motivo, invisi all'editoria ufficiale.
Ciò nonostante o, forse, proprio per questo, si tratta di un libro di grande interesse, comunque tra i pochissimi ad occuparsi della questione maschile nel panorama della cosiddetta società post-femminista (ossia della società che ha introiettato il femminismo istituzionalizzandolo).
Bertinelli tratta, infatti, dell’incessante declino della figura paterna nel mondo occidentale, ripercorrendo le tappe storiche, culturali, ideologiche e politiche di un’erosione che è arrivata, passo dopo passo, a giustificare la cancellazione simbolica del padre dalla coscienza collettiva, sino ad affermarsi stabilmente nel pregiudizio legislativo e giudiziario che ai nostri giorni colpisce duramente - in modo particolare ma non solo - i padri separati, facendone una categoria sacrificabile ope legis negli affetti, nella dignità personale e negli averi.
Il terreno della marginalizzazione è, infatti, la famiglia ma gli strumenti dell'esclusione sono quelli della politica e delle sue proiezioni consolidate nel diritto: «Esiste tra i giudici – cito un sintetico ma efficace passaggio dell’Autore sul tema - un orientamento giacobino in chiave antimaschile, facilmente rilevabile in una miriade di sentenze, che ravvisa un dovere finanziario di paternità contrapposto ad un ampio diritto di maternità, un dovere maschile di garantire la felicità coniugale contrapposto ad un diritto femminile di goderne.»
Per arrivare a queste ed altre conclusioni il viaggio di Bertinelli comincia da lontano, dal mondo arcaico sino ad arrivare al contemporaneo, alla ricerca delle premesse generali che hanno condotto, per vie diverse, alla rivoluzione "parricida" del sessantotto, come già è stata definita, a suo tempo, dalle analisi di Claudio Risé, Marcello Veneziani ed altri.
Anche se è qui, nella ribellione antiautoritaria e nell'identificazione del padre con "l'ordine costituito" da abbattere, lo snodo fondamentale per comprendere la dequalificazione della figura paterna, è il tema della secolarizzazione il filo conduttore che Bertinelli segue per ricomporre le ragioni di una deriva che parte da molto più lontano e che investe la stessa sfera etica di cui il padre - tanto nella sua declinazione terrena quanto in quella religiosa - rappresenta da sempre il custode e l'interprete principale.
La rinuncia all'ordine disciplinante del padre, favorito e reso possibile dal contrasto ideologico di istanze anche contraddittorie tra loro, lascia spazio - nelle analisi dell'Autore - a modelli di comportamento inclini al soddisfacimento del bisogno immediato, funzionali alle strategie economiche del consumo e ad un frainteso concetto di libertà intesa come sostanziale assenza di vincoli e divieti.
La società "matrizzata" - come ebbe a definirla Risé - prende così il sopravvento sull'individuo, estraniandolo da quei processi di "sublimazione" delle energie pulsionali immediate che sono alla base di personalità stabili e mature, capaci di differire il momento della gratificazione e, quindi, di progettare il proprio futuro in modo consapevole; nella nuova etica senza padre è bene ciò che fa stare bene ed è male ciò che fa stare male.
Sin qui, per sommissimi capi, i temi che possono essere incontrati nel libro di cui si tratta, che riserva peraltro ampi capitoli di approfondimento anche alle strategie del femminismo per la penetrazione nella cultura e nelle istituzioni; all'ideologia del "gender" dominante negli organismi di governo nazionali ed internazionali; alla ricostruzione degli avvenimenti politici che, in Italia, hanno visto nelle culture e nell'ideologia delle sinistre il viatico per la traduzione del rapporto tra i sessi negli stilemi tipici del conflitto di classe ed a molto altro ancora.
Il presente commento non vuole essere, tuttavia, puramente celebrativo, in quanto - ad avviso di chi scrive - il libro presenta un grande pregio ma anche un limite.
Il pregio consiste - oltre all'ottima capacità espositiva dell'Autore, che va sottolineata - nello sforzo ammirevole di ricostruzione storica e filologica che può consentire, anche ai meno informati sul tema, di acquisire preziosi elementi di conoscenza e di valutazione sui processi che hanno condotto alla negazione di dignità ai valori del padre e dell'uomo, dal lontano passato sino ai termini odierni.
Il limite - che segnalo come semplice valutazione personale, utilizzando una metafora clinica - sta, peraltro, nel fatto che a fronte di una diagnosi puntuale, brillante e di rara completezza manca, in larga misura, il momento della terapia.
Se è vero, come è vero, che le cause profonde del declino della dignità maschile e paterna vanno rintracciate originariamente nei processi generali che conducono alla "modernità occidentale", ad un'idea di modernizzazione e progresso intesi come negazione del passato e delle sue tradizioni, è altrettanto vero che sul piano politico - quello più rilevante, agli effetti pratici - non tutte le vacche sono grigie allo stesso modo.
Imputare alle forze ed alle necessità strategiche del capitalismo (cultura del consumo, individualismo liberale, promozione di stili di vita edonistici, logica dell'interesse privato e del profitto etc.) responsabilità quasi identiche, sul tema, di quelle che possono essere imputate alle forze ed alle esigenze ideologiche dell'anticapitalismo (primato dello Stato sull'individuo, logiche assistenziali, religione dell'egualitarismo, solidarismo astratto, etc.) non aiuta la questione maschile a trovare una prospettiva di marcia che non si risolva in un'improbabile "terza via" ancora tutta da immaginare o in una rivoluzione antimodernista (sullo stile ribellista di Massimo Fini) che riporti indietro l'orologio della storia.
La necessità di salvaguardare la parte virile del mondo, messa sotto assedio per i presunti torti di cui sarebbe ontologicamente protagonista secondo alcuni, non può non passare attraverso la strettoia di una scelta di campo che significa cominciare ad immaginare soluzioni future concrete e percorribili, innanzitutto sul piano politico-legislativo; il che significa prendere posizione sull'esistente e sull'oggi.
Di soluzioni praticabili - detta in modo molto rudimentale - purtroppo nel libro di Bertinelli non se ne trovano, fatta salva l'esortazione a riscoprire il valore educativo e formativo del padre, in senso generale, anche alla luce dei più recenti fenomeni di disagio e devianze di tanti giovani fatherless.
Probabilmente non era neanche nelle intenzioni dell'Autore proporre soluzioni ed anche questo va tenuto presente.
Tutto ciò, ovviamente, non significa che il lavoro di Bertinelli abbia meno valore ma, piuttosto, che proprio per il valore del suo lavoro la lettura del libro può lasciare un senso di disagio impotente a causa di una situazione apparentemente ineluttabile e senza sbocchi visibili.
Considerazioni del tutto personali a parte, la pubblicazione merita di essere segnalata, suggerita, promossa, oltre che accompagnata dall'augurio che Antonio Bertinelli torni con le sue competenze a fornirci nuovi elementi di riflessione e valutazione, quanto mai necessari nella difficile battaglia civile in favore dell'uomo.