L’argomento è, ancora una volta, la violenza sulle donne; l’occasione è il relativo convegno, che si sarebbe tenuto a Palazzo di Giustizia di Milano il 19 ottobre scorso, dove Marina Terragni avrebbe tenuto una relazione di cui lei stessa tiene ad informare il mondo dal suo blog; relazione poi pubblicata con il titolo «L’onore degli uomini» che andiamo qui a commentare.
Non è la prima volta che ci occupiamo della giornalista per denunciare la parzialità del suo modo di fare informazione, un modo di dare in pasto, ad un’opinione pubblica che se ne nutre lautamente senza farsi troppe domande, fatti confusi ad interpretazioni, a loro volta confuse con dati addomesticati, a loro volta confusi con processi sommari alle intenzioni; noi le domande non solo le facciamo ma continueremo a farle sempre più forte perché la parzialità e la faziosità informativa sono un vizio, non una virtù.
Il primo dato che salta agli occhi sono le statistiche – stavolta sulla “violenza sommersa” subita dalle donne – di cui la Terragni non cita le fonti e sulle quali, quindi, rimane impossibile fare le necessarie verifiche di attendibilità; dati, naturalmente, che parlerebbero di un fenomeno catastrofico, ci mancherebbe, come tutti quelli che riguardano le donne.
I precedenti dei dati statistici al femminile, a tale proposito, sono davvero molti e poco lusinghieri come modalità di dare fotografie della realtà sociale; la loro attendibilità è, spesso, assai discutibile.
Si prenda il tormentone «la violenza come prima causa di morte delle donne in età compresa tra i 15 ed i 44 anni»; questo è quanto ci è stato ripetuto, per quasi un decennio, come un mantra rituale dall'informazione ufficiale, entrando stabilmente nel limbo di quei luoghi comuni difficili da estirpare, benché fondato su una falsità documentale vera e propria.
La fonte originale, infatti, era l’OMS che, a seguito di ricerche condotte su scala globale (tutti e 5 i continenti, compresi quelli dove si può morire per pochi averi) concludeva che la violenza è la prima causa di morte nel mondo per tutte le persone in età compresa tra i 15 e i 44 anni; per tutti, non solo per le donne ma per tutti e su scala globale.
La fonte, consultabile da chiunque, è menzionata in Italia nel rapporto "Violenza e salute nel mondo" pubblicato da Cis Editore sui Quaderni di sanità pubblica, nel 2002. Ebbene, la propaganda femminista si appropriò di quel dato, ne fece mistificazione informativa e lo propinò in tutto il mondo occidentale con una tale efficacia e diffusione pubblica che difficilmente, oggi, qualcuno oserebbe sostenere il contrario; la violenza come prima causa di morte delle donne in età compresa tra i 15 ed i 44 anni non è una mezza verità ma una falsificazione della realtà per omissione. Spinge a far credere – e la propaganda è riuscita nel suo intento – che le donne siano vittimizzate, nel mondo occidentale, in modi e forme simili a quelle dell’Olocausto; basterebbe guardarsi intorno per una prima, sommaria verifica del caso.
Si prenda, ancora, la recente ricerca condotta dall’ISTAT sulle molestie sessuali, di cui abbiamo qui dato ampio e dettagliato resoconto e dalla quale, si presume, la Terragni avrebbe estrapolato i dati sulla “violenza sommersa”; abbiamo già messo in luce la modalità a dir poco discutibile, per non dire antiscientifica, di condurre rilevazioni statistiche teleguidate e precostituite negli obiettivi; facciamo rinvio all’articolo specifico per gli approfondimenti dell’emblematico caso, da cui il lettore attento potrà trarre tutte le conclusioni che vuole.
Sarebbe persino il caso di ricordare che si vanno ormai moltiplicando le ricerche sociologiche che documentano, dagli anni novanta in poi, come le donne siano, nella vita di relazione, tanto violente quanto gli uomini se non, addirittura, in misura maggiore; quella sì, vera “violenza sommersa” e confinata nel limbo del silenzio. Varrebbe la pena ma non è lo sterile gioco del tiro alla fune che ci interessa fare a questo riguardo.
Secondo dato che salta agli occhi nella relazione della Terragni: la sua ripartizione dell’universo maschile in tre categorie, in relazione alla reazione soggettiva di fronte all’argomento violenza sulle donne:
- la prima (minoritaria) sarebbe quella che se ne fa carico personalmente, come se si trattasse di combattere un demone interiore comune a tutto il genere maschile; il campione menzionato allo scopo – ossia, il modello di "uomo nuovo" che piace tanto alla Terragni - è il filo femminista Larsson, noto scrittore di “uomini che odiano le donne”, filantropo del gentil sesso e castigamatti del proprio;
- la seconda sarebbe quella (maggioritaria) di chi, pur non macchiandosi affatto di questi crimini, volterebbe la testa dall’altra parte rifiutando di mettersi in discussione per cacciare il demone dal proprio corpo in quanto, con ogni probabilità, l’idea di avere un demone interiore da combattere gli sembrerà qualcosa di medievale; marginalmente, varrebbe la pena osservare che se la maggioranza degli uomini è priva di colpe (a parte quella di non combattere il demone della virilità) non si capisce su cosa si fondino le statistiche catastrofiche evocate dalla Terragni…ma, tant’è…
- la terza, infine – e qui viene il bello - “anch’essa minoritaria ma pericolosamente in crescita”, ammonisce la sacerdotessa del vero e del bene, sarebbe la categoria dei “negazionisti”; la questione merita un approfondimento.
Secondo autorevolissime fonti linguistiche, con il termine negazionismo si intende: “una corrente antistorica e antiscientifica del revisionismo la quale, attraverso l’uso spregiudicato e ideologizzato di uno scetticismo storiografico portato all’estremo, non si limita a reinterpretare determinati fenomeni della storia contemporanea ma, spec. con riferimento ad alcuni avvenimenti connessi al fascismo e al nazismo (ad es., l’istituzione dei campi di sterminio nella Germania nazista), si spinge fino a negarne l’esistenza".
Chi sarebbero, invece, secondo la Terragni, i negazionisti contemporanei che allignano sul web?
Non sarebbero più coloro che si riconoscono in una corrente di pensiero antistorica ed antiscientifica ma, al contrario, coloro che invocano per le tematiche della violenza sulle donne, il rispetto delle verità storiche e dei metodi scientifici utilizzati per analizzare il fenomeno; l’esatto contrario di quello che dice la Terragni.
Ora, si dà il caso che chi scrive ha partecipato, come già accennato nell’altro articolo, ad una discussione con Marina Terragni nel suo blog con il risultato di essere accusato di “negazionismo” – come tutti gli altri – per avere cercato di portare argomenti ragionati e documentati, ai quali è stata contrapposta propaganda pura e semplice, senza uno straccio di argomento contrario dotato di qualche fondamento.
Come conclusione, il sottoscritto è stato espulso da Marina Terragni per non essersi allineato al suo dogma, le argomentazioni lì portate sono state prontamente cancellate per non lasciare pericolosi semi di dubbio e la Terragni va ululando alla luna che sul web impazzano presunti “negazionisti” che vorrebbero, nel suo mondo visto alla rovescia, mettere il fenomeno della violenza sulle donne sotto la lente d’ingrandimento della verità (verificabilità) scientifica.
Ossia, si vorrebbe cercare di capire cosa ci sia di vero e cosa di falso, ricordando che di falsità in materia ne abbiamo già citate alcune e solo alcune e troppe ce ne sarebbero ancora.
Negazionismo significa negare l’accertamento scientifico dei fatti, secondo un modello dogmatico, degno del medioevo, che non prevede la conoscenza dei fenomeni ma la fede pura e semplice in un racconto.
Negazionismo, insomma, è quello di Marina Terragni, la quale contrabbanda per “verità” indiscutibile la sua propaganda femminista fondata sul nulla.
Lei nega la possibilità - la semplice possibilità - di vederci chiaro, al di fuori della propaganda ufficiale.
Ma, si sa; il suo è un mondo visto alla rovescia.
Della serie, se la conosci la eviti e se la eviti non ti fai castrare mentalmente.