Marina Terragni

Sarà perché ho finito, da poco tempo, il suo libro “La scomparsa delle donne” (2007 - Oscar Mondadori); sarà perché ho partecipato personalmente, nelle scorse settimane, ad alcune discussioni da lei stessa lanciate sul suo blog, edito nel web-magazine “Leiweb”, ricavandone una pronta scomunica ideologica e la conseguente, poliziesca espulsione dal sito; sarà, ancora, perché il personaggio merita una particolare menzione (e nulla più di questo) nel panorama mediatico nostrano, già affollatissimo di ‘femministeal100%’ incuneate in ogni redazione di qualunque orientamento (leggasi Rodotà, Gruber, Sarasini, De Gregorio etc.); sta di fatto che – per tutto questo e per il condensato di contraddizioni teorico-intellettuali che caratterizza il suo modo di “fare informazione al femminile” - su Marina Terragni appare utile richiamare, momentaneamente, l’attenzione. 


Alcuni gustosi assaggi del suo funambolico approccio ai temi che le sono cari – maschile, femminile e poco altro – li possiamo apprezzare in alcuni articoli pubblicati, di recente, sul Corriere:


“…senza quel potere che vogliono tutto per sé gli uomini non sanno come essere uomini, non sono capaci di stare al mondo, anche se in giro ce ne sono alcuni che, preso sconsolatamente atto della fine del patriarcato, si sono messi a esplorare altre possibilità….” (L’eterno vittimismo indebolisce le donne – 21 aprile 2010)


“…Oggi la deriva neoromantica è soprattutto maschile, con tutte le comodità del caso: zero ansia da prestazione, qualcosa da sognare senza impicci, compatibile con i matrimoni in corso…” (Oggi è lui il neoplatonico – 28 gennaio 2010)


“…Non è un caso, per quanto possa apparire pazzesco, che oggi la sessualità maschile sia diventata una questione politica. Il fatto è che si tratta davvero di una questione politica. Che cosa sono gli uomini, crollata la narrazione patriarcale? Su che cosa puntellano la loro identità se non possono più contare sul dominio delle donne? Che cosa ne è della loro maestosa cultura e del mondo che ci hanno costruito sopra, se le fondamenta sono piene di crepe?...” (Gli uomini, i trans e quel mondo dove non c’è posto per le donne – 28 ottobre 2009)

Non sazia di dirci chi siamo, chi non siamo e cosa vogliamo noi (uomini) - invece di dirci chi sia, chi non sia o cosa vuole lei e quelle come lei (donne) - il marinaterragnipensiero si dipana intorno ad alcuni concetti rudimentali, ma utili ed efficaci per ogni forma di propaganda che non voglia dare risposte di senso ma slogan sempre commerciabili per una vulgata corrente, addomesticata, che non conosce obiezioni:  
- la storia è storia di oppressione delle donne (e sin qui va a braccetto con tutti i femminismi), benché a fare le spese della storia – di tutte le storie - siano stati sempre gli uomini
- il dominio maschile (leggasi patriarcato, quello che sarebbe crollato, stando a quello che lei stessa dice) sarebbe un mostruoso monolite culturale da abbattere anche nel nostro tempo (...sic!!!)
- le donne devono conservare la propria femminilità senza farsi omologare ai modelli maschili (vaglielo tu a spiegare che non c’è mai stata, nella storia umana, una società tanto femminilizzata come la nostra, occidentale, da avere posto l’estetica, l'immagine e il pettegolezzo privato sopra a tutto il resto)
- il mondo sarebbe a misura esclusiva d’uomo e dovrebbe essere trasformato a misura di donna (senza specificare come dovrebbe essere questo nuovo mondo e che spazi dovrebbero residuare per gli uomini in un mondo con quelle misure)
- l’altro (ossia, il tu, il “non-io”) ha dignità solo fino a che mi dà ragione e mi compiace; se mi dà torto e non mi compiace la sua dignità e la sua identità scompaiono.

Questo, per i sommi capi che merita, il marinaterragnipensiero con il quale le intelligenze comuni fanno i conti leggendola, quotidianamente, un po’ qui e un po’ lì e assimilandone le stralunate contorsioni intellettuali come se fosse informazione ragionata piuttosto che banale e dozzinale propaganda.
Il fatto che la "militanza" della giornalista faccia capo alla corrente del femminismo della differenza (o “pensiero della differenza”, secondo gli addottorati della materia) non tragga in inganno; si tratta della forma peggiore e più sconclusionata di femminismo, per la sua pretesa di far convivere la consapevolezza di un’incolmabile distanza  e diversità costitutiva tra maschile e femminile con la sostanziale (ma innominata e, forse, inconsapevole) volontà di annullamento del primo dei due termini in favore del secondo.
Per un mondo che, in certe visioni illogiche e contraddittorie di possibile convivenza umana, dovrebbe essere, però, essenzialmente e soprattutto a misura di donna….