Si potrebbe tranquillamente sorridere per questa battuta di spirito, totalmente inventata, se non fosse che qualcun altro/a potrebbe intravedere in questa ironica situazione verbale, ideata per scopi umoristici, le tracce latenti di una violenza accennata, di un sopruso sessuale implicito o, ancora peggio, di un’istigazione indiretta a comportamenti violenti con un fumus boni iuris, ci sarebbe da scommetterci, anche per l’apologia di reato.
Si tratta della laicistica inquisizione contemporanea, interiorizzata supinamente dai più e conosciuta come “political correctness”, che sta cancellando l’umorismo dalla visione comune dei rapporti umani e dalle dinamiche dei rapporti sociali.
E’ più o meno questo il senso del problema a cui fa riferimento Roger Scruton – intellettuale di punta del conservatorismo anglosassone – nel lungo articolo, tratto da The American Spectator e pubblicato in due parti su L’Occidentale del 9 e del 10 agosto scorsi, dal titolo “Il declino della risata è un brutto segno per la società occidentale”, per la traduzione di E. De Simone, di cui suggerisco vivamente la lettura integrale, considerata anche la notevole scorrevolezza del testo.
L’umorismo è la naturale valvola di sfogo con la quale sono stati sdrammatizzati, in passato, la maggior parte dei rapporti umani nei quali – dice Scruton - differenze di razza, sesso e religione avrebbero potuto dare luogo a conflitti ben più gravi e laceranti.
Ma, osserva ancora l’autore, la modernità occidentale, con tutte le sue presunte libertà di pensiero e di parola, è afflitta da un conformismo politicamente corretto, finalizzato a cancellare l'onta delle discriminazioni dalla vita di tutti noi, che impedisce di praticare l’ordinario disinnesco delle tensioni sociali quotidiane mediante l’umorismo, sino a proibire le banali battute di spirito attraverso le quali i conflitti si sono spesso stemperati e risolti, con una sana e divertita risata comune.
Scruton si riferisce, in particolare, alla società americana, dove una battuta “politicamente scorretta” può costare lavoro e posizione sociale, oltre ad avere come conseguenza di “essere banditi per sempre dalla comunità della gente per bene”; ma, facendo riferimento al noto e recente caso dell’ex assessore P. Massari ed ai presunti ‘nuovi codici di comportamento sessuale” di cui qui si è trattato, ad esempio, sembra che stia parlando di ciò che sta succedendo anche nel nostro mondo italiota.
L’americanizzazione è il nostro destino e la discriminazione – anche solo umoristica - è il peccato originale del nostro tempo, da bandire in tutti i modi e in tutte le forme; i custodi di questa nuova forma di puritanesimo del pensiero e del comportamento quotidiano – “i censori del peccato ideologico e delle eresie moderne”, li definisce l’autore – non conoscono il perdono e “riescono a scovare un pensiero colpevolmente razzista, sessista o omofobico in quello che a un orecchio non allenato suonerebbe come il più innocente dei discorsi”.
Ci sono cose che non si dicono e su cui è severamente proibito scherzare; il mondo femminile – lo ricorda anche Scruton – è una di queste cose, tanto da non sorprenderlo che “la letteratura femminista sia del tutto priva di senso dell’umorismo; un’assenza assolutamente voluta, perché non appena quella risorsa, l’umorismo, venisse impiegata in quelle trattazioni, tutta la materia ne morirebbe ridendo di sé...”Scruton coglie indubbiamente nel segno ed individua i tratti indelebili di un conformismo cupo ed occhiuto, che incombe sui nostri modi di vita in modi assai più pervasivi dei precetti religiosi tradizionali.
Ci permettiamo, però, di dissentire dal pur geniale filosofo britannico quando sostiene che ad essere posti sotto al riparo della censura preventiva, dell’irrisione fine a sé stessa, dell’ombrello antidiscriminatorio a tinte politically correct che sta uccidendo anche l’umorismo, siano gli uomini tanto quanto sono le donne.
Nel caso maschile, infatti, vigono regole diverse – almeno qui da noi – che non contemplano equità di trattamenti.
In Italia – ma sono pronto a scommettere, anche in America – può essere ad esempio entusiasticamente pubblicato un libro dal titolo “Ho sposato un deficiente. Dietro ogni uomo c'è sempre una donna che alza gli occhi al cielo”, con grande soddisfazione per l’autrice, per il suo editore e per il pubblico dei lettori; ma provate un attimo ad immaginare cosa succederebbe se venisse pubblicato un libro dal titolo inverso “Ho sposato una deficiente. Dietro ogni donna c'è sempre un uomo che alza gli occhi al cielo”.
Non è difficile da immaginare quali e quante accuse di maschilismo e misoginia pioverebbero da tutte le parti e con quanti sacri furori.Per avvalorare questa ipotesi sul diverso peso delle parole in relazione all’identità sessuale può, inoltre, tornare utile l'articolo pubblicato ieri, 9 settembre, su Il Giornale con il quale Nino Materi illustra la disparità di trattamento giudiziario con la quale vengono sanzionate, nei tribunali italiani, le ingiurie e le offese verbali:
"...per il tribunale di Napoli (sentenza del 1999) dare del «porco» a un uomo «non costituisce offesa all’altrui reputazione», per il tribunale di Campobasso (sentenza del 2007) dare della «scrofa» a una signora è meritevole di «condanna a un mese di reclusione più pagamento delle spese processuali». Ma porco e scrofa non appartengono alla medesima razza suina? Sì, ma non evidentemente alla stessa razza ingiuriosa.
Idem per «cane» e «cagna». Se il «cane» se lo becca (nel senso di insulto) un maschio, non c’è reato; se al contrario la «cagna» è all’indirizzo di una donna, ecco scattare la pena. Ma anche sul fronte dei volatili, l’ornitologia giudiziaria ha visioni opposte: se infatti lei dà a lui del «pappagallo», nulla quaestio; mentre se lui dà a lei dell’«uccello del malaugurio» si ritrova con la fedina penale macchiata...."
No, direi che Scruton non vede un'asimmetria assolutamente evidente e il vecchio motto sessantottesco "una risata vi seppellirà" non vale più per il mondo femminile, trincerato a tripla mandata nella piazzaforte del "politically correct".