Ciao papà, anche se non sei più tra noi sono sicuro che puoi sentire quello che voglio dirti.
Non mi piace mettere in piazza le cose personali, la sfera degli affetti, dei ricordi e dei rimpianti alla quale appartieni e non lo farò neanche stavolta.
Lo stile confessionale non si addice né a me né a te, ed anche per questo ci siamo sempre capiti al volo, in un modo o nell'altro, senza troppe chiacchiere di contorno.
Oggi, però, ricorre una celebrazione che tu ben consideravi, già da allora, come una beffarda presa in giro dei sentimenti maschili.
Si celebra ancora oggi la figura del Papà in un mondo che da decenni lo va umiliando, denigrando e colpevolizzando sino alla prostrazione.
Una celebrazione schizofrenica e indecorosamente carica di finzioni, una mascherata carnevalesca che, dato il tema, dovrebbe dare la nausea per la distanza che c'è tra il celebrato ufficiale e il vissuto effettivo.
Se fossi qui ti piacerebbe ancora meno di quanto ti piacesse allora.
Tu hai cominciato ad avvertire i morsi della canèa in quelle atmosfere stralunate degli anni settanta, quando ti sei improvvisamente trovato sul banco degli accusati; ma non per qualche reato o per motivi seri, solo in qualità di padre.
Ti sei sentito rinfacciare il tuo senso dell'autorità, la tua concezione tradizionale della famiglia, il tuo spirito di sacrificio onesto che ti portava a lavorare spesso sino a notte fonda; eri un "padre assente", cominciarono a dirti, come se fosse una colpa sfamare con la propria fatica un'intera famiglia.
Se volevi tutti a tavola all'ora prevista, educati e composti, eri un fascista repressivo.
Dato che mettevi regole - com'è giusto che sia, in ogni luogo e in ogni tempo - eri affetto dalla sindrome del maschilista patriarcale.
Le cose, da quando avevi cominciato a viverle sulla tua pelle, sono peggiorate e di molto.
I padri sono diventati un accessorio ininfluente nell'ambito familiare; se c'è bene, se non c'è, tanto meglio.
L'ostilità nei confronti del mondo maschile è raddoppiata e per moltiplicarla ancora vanno raccontando falsità abnormi. Tra le tante, la più frequente è che i mariti, i compagni e i fidanzati sarebbero la prima causa di morte delle donne; una panzana talmente folle che se fosse perpetrata verso qualunque altra categoria umana farebbe fremere di indignazione l'intera opinione pubblica.
Invece niente.
La famiglia, quella a cui tu tenevi tanto e che ci ha fatto crescere sani, dove non c'è mai mancato nulla, dove si trovava rifugio, riposo e calore, l'hanno fatta diventare una giostra da parco divertimenti; per farcela digerire con tutte le sue porte girevoli hanno cominciato a descrivere la famiglia del passato come un museo degli orrori.
Da qualche tempo poi il padre è stato reso persino fungibile nella memoria e nell'identità dei figli; basta che la madre lo sostituisca con un altro ed anche il cognome può essere cancellato e sostituito insieme alla presenza fisica ed affettiva dell'originale.
Dicono che serve ad adeguare le «nuove realtà familiari» all'evoluzione dei tempi.
Una giustificazione untuosa e scivolosa come le nuove realtà familiari.
In realtà, siamo arrivati all'usa e getta della figura paterna che ti farebbe storcere la bocca ancora più di quanto, già allora, ti facessero soffrire certe cose.
No, questa non è una giornata di festeggiamenti.
Può essere però una giornata di ricordi, una giornata della memoria da sbattere sul muso di tutto questo stupido ed inebetito nuovo che avanza.
Ed è per questo che oggi ti voglio ricordare e voglio farlo pubblicamente.
Voglio raccontare quanto bene ci hai sempre voluto e quanto hai sacrificato di te stesso in nome di questo bene.
Quanto hai saputo rimanere stabile nella tua fermezza, in silenzio, tra tante grida scomposte e isteriche, tra tante difficoltà, tra tante critiche.
Quante certezze hai saputo trasmettermi con il tuo esempio personale.
Quanto peso hai saputo sostenere sulle spalle senza che te ne sia mai stato riconosciuto il merito.
Voglio raccontare di quanto bene se ne è andato, con te, quella brutta mattina che una telefonata mi ha raggiunto dall'ospedale.
Voglio raccontare quanto male hanno fatto a te e a tutti i padri e quanto ne continuano a fare.
E lo voglio fare nel giorno di questa oscena pagliacciata celebrativa.
Tu sei andato via in silenzio, così come hai vissuto, per non disturbare nessuno.
Ma non te ne sei mai andato veramente.
Rimani nel mio cuore, nella mia memoria, nel mio essere, perché ho imparato a conoscere ed a capire il mondo grazie a te ed a crescere grazie al tuo esempio.
Non so quanti potranno ancora avere questa fortuna.
Non trovo altre parole oltre ad un insignificante "grazie".
Ma tu sai cosa voglio dire.
Noi ci capiamo....
tuo figlio