Alla redazione
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«Tutti i giornalisti sono, per via del loro mestiere, degli allarmisti: è il loro modo di rendersi interessanti».
Lo scriveva il filosofo A. Schopenhauer agli inizi dell'800. Ma aveva torto.
O, meglio, aveva ragione solo in parte, perché a certa prassi giornalistica di gonfiare esageratamente le notizie, che oggi conosciamo come sensazionalismo, si devono sicuramente aggiungere altri vizi tipici della stampa di ieri ma soprattutto di oggi.
Pubblicare notizie senza le necessarie verifiche di fondatezza, ignorando al tempo stesso quei fatti che contraddicono la teoria alla quale si è particolarmente affezionati, sono «modi di informare» che rispondono ad una motivazione diversa, altrettanto semplice ma non meno inaccettabile della prima: fare demagogia.
Sino a qualche tempo fa questo era il chiaro e netto discrimine tra stampa militante di partito e stampa "libera"; compravi L'Unità o il Secolo d'Italia e sapevi cosa ci avresti trovato, compravi il Corsera e speravi in meglio, trovandolo spesso.
Oggi quella possibilità di essere correttamente e lealmente informati da qualche fonte ufficiale attendibile è venuta radicalmente meno, se persino la prima testata italiana per professionalità e, quindi, per autorevolezza, autonomia, prestigio e diffusione si è piegata alla logica della disinformazione militante, sino a compromettere il capitale immateriale ma prezioso della propria credibilità.
Sensazionalismo, pressapochismo e demagogia sono, alla prova dei fatti, gli elementi ricorrenti di una rubrica del vostro giornale online - la 27ma ora - gestita da esponenti di una lobby pervasiva, ramificata e intimamente, profondamente illiberale: la lobby del neofemminismo.
Leggo un articolo pubblicato nel blog, a firma Alessandra Arachi: «Quei numeri che non vogliamo credere: è la violenza che più uccide le donne», che è la summa teologica di tutto ciò che abbiamo definito sensazionalismo, pressapochismo e demagogia; ossia, disinformazione e propaganda militanti.
La violenza sulle donne; già, chi oserebbe contestare le cifre di un fenomeno moralmente odioso senza apparire un complice di quelle stesse violenze? Sicché, l'apparenza sostituisce la sostanza e il dissenso è tacitato.
Vediamo, invece, quanto c'è di vero e quanto di falso (o di gonfiato enormemente, sino alla follia) in quelle cifre; almeno sino a che resteremo in democrazia e si disporrà della libertà di parola possiamo farlo.
«La violenza è la prima causa di morte (in Europa) per le donne fra i 14 e i 44 anni.»
Se la signora Arachi - o altre come lei - facessero informazione vera, invece di ripetere cose dette e scritte da altri, andrebbe a verificarne la fondatezza, scoprendo che si tratta di una grossolana e colossale falsità, smentita ormai da tempo.
La decennale leggenda nasce a seguito di una ricerca condotta a suo tempo dall'OMS, confluita nel rapporto "Violenza e salute nel mondo" pubblicato in Italia sui Quaderni di sanità pubblica, nel quale si sostiene ufficialmente che «la violenza è una tra le maggiori cause di morte a livello mondiale per gli individui di età compresa tra 15 e 44 anni».
Non è assolutamente vero per l'Europa, né tantomeno per l'Italia, com'è platealmente e statisticamente evidente, né per le donne in particolare ma per tutti gli esseri umani laddove, anzi, è molto più vero per i maschi che per le femmine, con un rapporto di circa 4 a 1 a danno dei primi.
Da allora il dato è stato mediaticamente manipolato a dismisura, manomettendone il senso reale, per accreditare l'idea che il mondo femminile sia vittima di un "femminicidio" costante e implacabile; di volta in volta è stato spacciato come prima causa di morte ora in Europa, ora in Italia, altre volte - più pudicamente ma sempre nella forma ingannevole della "mezza verità" omissiva - nel mondo, dove "mondo" starebbe soprattutto per luoghi di miseria e degrado sociale stabilmente imperanti. Con "violenza" deve intendersi, inoltre, una serie di cose molto diverse tra loro, come guerre, crimini e suicidi, per una fascia d'età relativamente al riparo dalle malattie.
Tutto clamorosamente falso, quindi, nei termini proposti dal femminismo e avallati dal vostro giornale, come chiunque avrebbe potuto tranquillamente accertare se lo scopo fosse stato dare corretta informazione piuttosto che fare brutale, interessata e colpevolizzante demagogia.
«In Italia, 14 milioni di donne oggetto di violenza....1.400.000 ragazzine sottoposte a stupro...mariti, fidanzati o conviventi che ammazzano più degli incidenti, delle malattie o delle disgrazie....».
Bisognerebbe cominciare seriamente a chiedersi se una visione tanto apocalittica ed agghiacciante della realtà sociale corrisponda anche solo minimamente al vero o, molto più verosimilmente e realisticamente, al falso più completo e mistificatorio.
Le statistiche giudiziarie ufficiali e pubbliche, relative all'anno 2007, su una popolazione ormai prossima ai 60 milioni di anime, ci dicono questo:
vittime di omicidio - femmine 138 - maschi 463
lesioni dolose - femmine 22.869 - maschi 32.986
percosse - femmine 7.139 - maschi 7.423
violenze sessuali - femmine maggiorenni 3.040 - maschi maggiorenni 241
violenze sessuali - femmine minorenni 1.098 - maschi minorenni 247
La distanza abissale tra i dati "narrati" dalle vostre giornaliste e quelli giudiziari non merita neanche di essere evidenziata, tanto è incolmabile, incommensurabile e grottesca.
Ma non ci faremo bastare queste ovvie considerazioni, perché c'è molto di più e di peggio.
C'è innanzitutto che l'intera legislazione "antiviolenza" (legge 66/96) è stata emanata nel più assoluto dispregio del c.d. principio di tassatività dell'azione penale; quel principio che stabilisce la necessità inderogabile che le norme contengano definizioni chiare e non discrezionali della fattispecie delittuosa.
In assenza di quella oggettività giuridica la definizione del crimine non è data dal codice, né stabilita a posteriori dal tribunale, ma demandata alla libera interpretazione della vittima, che assume in tal modo sia la veste di parte lesa sia quella di giudice dei fatti; con il risultato, aberrante, che tra quei dati delle circa 3.000 violenze annue vanno annoverate anche (non solo ma anche) "violenze sessuali" come le pacche sul sedere o i tentativi di baci sul collo, in quanto «percepiti come violenza».
Lascio al buon senso di chi legge stabilire se una pacca sul sedere debba essere considerata un crimine o meno; eppure, sulla base di questi comportamenti semplicemente grossolani ci sono uomini che, denunciati e condannati, hanno perso lavoro, casa e famiglia.
Ancora di più. Per effetto del delirio giuridico di quelle norme e della retrostante impostazione politico-culturale che le ha rese operanti - perfettamente riflesse nella demagogia della 27ma ora - è stata messa nella disponibilità piena ed assoluta di tutte le donne un'arma di ricatto terribile, con il risultato che le false (ripeto: false) accuse di stupro, di maltrattamenti o di violenza privata si sono andate moltiplicando in modo esponenziale, soprattutto durante i procedimenti di separazione.
Anche questi dati, che ribaltano completamente lo stereotipo della donna vittima e dell'uomo carnefice, sono oggi supportati da ricerche, testimonianze e documentazioni - come quelle consultabili a questi due link (uno e due) - che asseverano, citando testualmente quanto dichiarato dal Pubblico Ministero Carmen Pugliese all'apertura dell'anno giudiziario 2009, come «solo in 2 casi su 10 si tratta di maltrattamenti veri. Il resto sono querele enfatizzate e usate come ricatto nei confronti dei mariti durante la separazione».
Circa l'80% delle accuse mosse dalle donne agli uomini sono dunque inventate, mentre la signora Arachi discetta di mariti e compagni assassini come se nulla fosse.
Di questi dati, di questa parte meschina e disonesta della realtà femminile, di questa devastazione dello stato di diritto liberale e, conseguentemente, di molte esistenze maschili in carne e ossa le vostre giornaliste tacciono tutto; non sanno che farsene di elementi di conoscenza e di valutazione che potrebbero compromettere il loro vittimismo sfrenato e l'accanimento demagogico dei loro articoli.
Ma non è ancora questo il peggio.
Il peggio è che l'opera di demonizzazione scientifica perseguita nei confronti di un intero mondo - quello maschile - sino alla costruzione di un pregiudizio di colpevolezza infamante e diffuso che grava su tutti gli uomini, viene spacciata come cultura, informazione, magari anche progresso e civiltà dalle pagine elettroniche del vostro giornale.
Laddove, invece, si presenta del tutto analoga, per modalità e strategia comunicativa, con quell'altra propaganda demagogica e mistificatoria che mirava a scatenare la rabbia popolare contro un altro intero mondo; quello ebraico, da parte della ben nota e triste razza ariana, di cui forse nella vostra redazione si è persa memoria.
C'è un'ultima cosa che vale sottoscrivere ed inviarvi, tra le infinite altre che in questa materia sarebbe possibile precisare e che saranno precisate, nel tempo, da quell'informazione sana, libera e pulita che va spontaneamente germogliando sul web.
Vergogna!
Giovan Battista Orsini
N.B. - Com'è intuitivamente evidente, chiunque voglia associarsi a questa iniziativa potrà liberamente sottoscrivere la lettera (il Corriere non accetta lettere anonime) ed inviarla per posta elettronica all'indirizzo sopra indicato, che qui si ripete:
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