«Sposati e sii sottomessa»
No, non sto vaneggiando, non sto dando libero sfogo a qualche repressa velleità di suprematismo maschilista, né sono preda del demone dell'oscurantismo medievale nell'epoca dei lumi stroboscopici.
Anzi, quelle quattro parole messe nella forma imperativa della sintassi che leggiamo non sono di certo farina del mio sacco.
E' il titolo di un libro, e non è stato neanche scritto da quel porco maschio misogino che aleggia stabilmente nella fantasia di tante femmine formattate dai femminismi; è stato ideato e compilato proprio da una donna, pensa te!
Dichiaro subito una cosa: il libro non l'ho letto e probabilmente non lo leggerò, in quanto non avverto il bisogno di un training per gli scopi che il testo si prefigge, a quelli preferendo di gran lunga il libero celibato (del resto, nei panni della sposa docile, con i peli sulle gambe e la barba incolta mi farei schifo da solo).
Però, è innegabile che il titolo faccia sensazione, che quell'esortazione dal suono così anacronistico e provocatorio abbia in sé un potenziale sciokkante, drasticamente anticonformista, eretico, implicitamente sovversivo rispetto ai tempi.
Di che si tratta, dunque?
Per cercare di capire qualcosa di più mi sono inoltrato nel blog dell'autrice, che porta lo stesso titolo del libro, scoprendo che la responsabile di tanto scandalo, Costanza Miriano, è una giornalista RAI, è cattolica fervente e, stando a come lei stessa si racconta con divertita ironia, è «aspirante casalinga».
Costanza Miriano |
Vuole rovesciare le magnifiche sorti e progressive del secol superbo e sciocco?
Vuole un ritorno del patriarcato in grande stile?
E' una masochista mascherata?
Intanto, che cosa si debba intendere con “sottomissione” ce lo spiega lei stessa: «Anche una donna che lavora, e che lo fa ad alto livello, può essere sottomessa se ascolta il marito, lo rispetta, tiene in gran conto le sue opinioni e le mette prima delle proprie [......] Credo comunque che le donne si debbano riappropriare della loro vocazione all’accoglienza della vita, quella che viene dal loro essere morbide, capaci di ricucire i rapporti, di fare spazio, di intessere relazioni, di tirare fuori da tutti il meglio. Che mettano questo loro genio femminile in cima alle priorità.»
Caspita se questa non è una vera rivoluzione su scala personale; è la riscoperta del valore essenziale dell'accoglienza femminile dopo il soffocamento di decenni di femminismo collettaneo.
Ora, sfido chiunque a dichiarare che tra i 16 e i 24 anni non si sarebbe letteralmente squagliato, dalla testa ai piedi, alla sola prospettiva di trovarsi davanti una ragazza che avesse fatto dell’accoglienza e della morbidezza la sua ragion d’essere; magari anche solo carina, ma tanto sarebbe bastato, anche se non si fosse trattato di una top model, per farci sprofondare in quella grammatica dell’infinito enfatizzata dall’ardore giovanile, fatta di amori per sempre, di sogni insieme, di dedizione completa, quello sturm und drang dell’innamoramento totale nel quale abbiamo sperato tutti (o comunque molti o comunque io, tra quei pochi o tanti, in epoca giovanile c'ero).
Poi, mannaggia, dopo aver fatto esperienza negli anni cruciali del mondo femminile "riformato" - quello della morbistenza, dei fiori d'acciaio e delle virago sotto mentite spoglie - ci siamo fatti passare la tempesta romantica e ci siamo tenuti quella ormonale ricorrente (pochi o tanti, io ero ancora fra questi).
Comunque sia, quindi, sembra che la signora Miriano non parli di gerarchie, né di sindacalismi domestico-familiari, ma di un ordine naturale delle cose, di un quid inesplicabile che fa del femminile qualcosa di arrotondato e morbido e del maschile qualcosa di quadrato e duro; e lo so che con questi termini la testa va a finire sempre al solito posto, ma forse è proprio questo il punto giusto dove arrivare.
Perché la buona Costanza (ci permetterà questo innocente gioco di parole) sembra voler dire esattamente questa cosa: che la costituzione psico-biologica dei due sessi cela in sé la vocazione naturale alla propria funzione primaria, che non è intercambiabile ma complementare, non è accessoria ma di serie, non è fungibile ma prefissata.
A quella funzione, per una donna se ne possono aggiungere anche altre, come il lavoro, la carriera, la realizzazione fuori casa ma - dice ancora lei - «fare bene tutto non è possibile, e quando non arrivo non mi arrabbio con le congiure di cui sarei vittima, ma tendo piuttosto a pensare che essere donna sia comunque una meravigliosa ricchissima avventura.
Sarà per questo che non voglio ribellarmi agli uomini, ma, riconoscendo la loro superiorità in tanti settori (e in altri la nostra), una volta trovato quello giusto ho capito che ascoltare ed ”obbedire” alla sua lucidità, la sua razionalità, non poteva che farmi del bene. E io fare del bene a lui con il mio genio femminile, il mio talento, le mie capacità.»
Bene, assodato che la signora Miriano non è una che interpreta la sottomissione come un esercizio di bondage quotidiano ma come «il desiderio leale e onesto di servire lo sposo» e che non vuole tornare stabilmente ai fornelli perché ha comunque già troppo da fare durante la giornata, che rimane da capire per quelli a cui il suo libro non è destinato in via diretta?
Io azzardo l'ipotesi che dentro al fantastico mondo di Costanza Miriano - un mondo fatto di accoglienza, d'amore e di buona volontà - ci sia soprattutto un valore senza il quale accoglienza, amore e buona volontà non avrebbero molto senso; un valore sempre più raro, soprattutto tra le donne.
Quel valore è la modestia, l'umiltà di una persona che si riconosce imperfetta, incompleta, limitata e mortale e per questo credente e spiritualmente viva.
Quella modestia che cammina sulle ginocchia, alla ricerca del Bene, prima ancora di mettere i tacchi alti per andare alla ricerca della propria realizzazione.
Che rivoluzione ragazzi!
Beh, se così stessero le cose - e tutto lascia immaginare che stiano proprio così per la signora Miriano - mi voglio permettere per una volta di fare il tifoso, in sequenza incontrollata con l'articolo precedente.
«Forza Costanza, sei un mito»