Storie di corna








Le corna, l’infedeltà affettiva, il tradimento della promessa amorosa.
Che argomento del cavolo di questi tempi.
Eppure è almeno dal mese di dicembre dello scorso anno che sulle colonne del Giornale l’eterno tema delle metaforiche appendici frontali è all’ordine del giorno, avendo impegnato in una specie di variety di interventi i lettori, gli utenti del sito, i redattori e persino le penne di grande prestigio del quotidiano, snocciolandoli uno dopo l'altro in un estenuante ed irrisolto dibattito sino all’estate in corso.
Tutti ad inseguire visionariamente qualcosa che non esiste più, la stabilità familiare e la lealtà coniugale - la seconda presupposto necessario della prima – come se la solida, tranquillizzante famiglia dei bei tempi andati (o dei brutti tempi andati, a secondo del punto di vista) fosse ancora lì, possibile e a portata di mano.

La cosa nasce in modo strano, lambiccato: un ragazzo di nome Davide scrive al padre un'accorata lettera di rampogne morali perché da tre anni quello s’è fatto l’amante e lo esorta pubblicamente a rientrare nei ranghi domestici, sia per non far soffrire la povera mamma - in passiva e pluriennale attesa di sviluppi come l’omerica Penelope – sia per le ricadute sul resto della figliolanza afflitta dalle sue turnazioni extraconiugali.
Però, invece di indirizzare la lettera al genitore libertino e allegrotto la spedisce direttamente al Giornale, appunto.
Chissà perché; forse per amplificare l’effetto della scenata familiare, forse per quella smania crescente dell'outing personale, contagiosamente trasmesso dai "grandi fratelli" ai piccoli telespettatori imbolsiti, forse per desiderio di protagonismo mediatico, forse per questo, forse per quello, sta di fatto che Davide dialoga col padre a mezzo stampa, letteralmente, facendo una di quelle piazzate nel villaggio mediatico che l’eco ancora non s’è spenta.
Comincia, infatti, un andirivieni ciclico di riflessioni, pareri, pronunciamenti, assoluzioni, condanne e dichiarazioni di neutralità, comunque interessata perché partecipe, che si avvicendano per mesi.
Per buona misura qualcuno tira fuori, tra un filosofeggiare e l’altro in materia, pure uno di quei libri americani che se li conosci li eviti accuratamente: «This is Not the Story You Think it is», con il quale una certa Laura Munson è riuscita a trasformare il racconto delle proprie corna in un recente, lucroso affarone editoriale. Best seller sul mercatone a stelle e strisce – il che è tutto dire, quanto ad introiti – pare che il libro abbia un’altra di quelle cose che sembrano appartenere ad un’epoca letteraria lontana, fabulistica e polverosa, comunque stucchevole: il lieto fine.
La Munson ha perdonato, ha aspettato, ha recuperato il marito dalla momentanea sbandata e, soprattutto, ha raccontato a tutto il mondo i fatti propri ricavandone denari sonanti (il lieto fine sarebbe la ricomposizione familiare, comunque); quando si tratta di mettere a frutto le cose intime e personali alle donne non le frega davvero nessuno.
Le reazioni sul Giornale, a proposito del tema delle corna comunque intese, sono state le più composite; ultima in ordine di tempo, l’elogio dell’astuzia.

Bene, ovviamente non ci imbarcheremo neanche per sogno nel marasma coscienziale delle corna, del perdono sì/perdono no, del dire/non dire, del fare/non fare, del modernismo trendy che tutto ammette e giustifica o del tradizionalismo nostalgico per un mondo scomparso che – come sintetizza efficacemente Marcello Veneziani – faceva del vincolo matrimoniale un rapporto di parentela tanto sacro e indissolubile quanto quello tra un genitore e un figlio.
In realtà, se tiro fuori questo genere di argomenti - di cui all’occorrenza ci si può beare navigando tra i link postati - è solo per rilevare come un dibattito di questo tipo, oggi, nel nostro mondo e nel nostro tempo, abbia qualcosa di surreale; questa la sensazione ricavata dall'insieme e cerco di spiegarla.
Viviamo in una società iper-sessualizzata, ossessionata dall'estetismo erotizzante, nella necessità apparentemente inderogabile di tenersi sempre preparati all'incontro carnale; la collega di tutti i giorni non si azzarda ad abbandonare i collant se prima non si è fatta la ceretta integrale dai fianchi alle caviglie, la vicina di casa va a fare la spesa col tacco 12, la recessione globale non ha neanche sfiorato l'industria dell'intimo femminile che continua a pompare reggiseni di pizzo e micromutandine infinitesimali a prezzi sconsiderati.
C'è chi rinuncia al pane, alla mortadella ed alla frutta di stagione pur di garantirsi il ciclo di lampade abbronzanti, di massaggi anticellulite o la cura maniacale dei piedi.
Guardi la pubblicità del gorgonzola e vedi la superfica sull'orlo di un orgasmo vaginale, guardi quella del silicone e la superfica tutta nuda ti invita nella doccia con lei, ti imbatti nella pubblicità del profumo e senti solo sospiri frementi di eccitazione e parole senza senso.
Viviamo tutti confinati all'interno di un circo Barnum del desiderio costante, della provocazione sistematica, dell'esibizionismo militante, con un'industria del porno - di cui la donna è protagonista assoluta e regina incontrastata - che gareggia per fatturato e dimensioni con quella della cinematografia "ufficiale".
Il sesso è l'ossessione del nostro tempo.
E in questo contesto c'è chi va strologando di corna - come se a fare norma e normalità fosse la stabilità dei rapporti, la profondità delle relazioni, la dimensione del sentimento - e ci si impegna per mesi.
Un po' come se nella cultura del pacifismo integralista si continuasse a ragionare di tattiche militari, di armi e tecniche di combattimento.
Insomma, se è vero che a destare l'interesse non è il cane che mozzica l'uomo ma l'uomo che mozzica il cane l'attenzione pubblica dovrebbe rivolgersi alle «unioni per sempre», alla capacità di rimanere monogamici, alla resistenza clandestina contro la deriva generale che fa delle corna l'appendice pressoché inevitabile della maggior parte dei rapporti.
Pensare di sfuggire ai tradimenti sessuali in questo quadro è da sclerotici, aspirare ad un rapporto duraturo è da insensati, confidare nella lealtà è da ingenui incalliti.
Oppure - ed anche questo sembra plausibile - la nostra è una società in preda ad una schizofrenia latente che, posta davanti allo specchio, non le consente di riconoscersi; e per questo continua per mesi a riflettere sulle corna, appendice esterna del problema, invece di riflettere su sé stessa.