Un frequentatore del blog - Claudio - ci informa che il prossimo 7 settembre, alle ore 18, a Roma, Terme di Caracalla, si terrà una sorta di dibattito pubblico dal titolo «Donne e uomini: riflessioni sul cambiamento tra potere e libertà» nell'ambito della festa della CGIL.
Inutile sottolineare, data anche la colorazione politica dell'avvenimento, che tutti gli interventi previsti nel programma sono di chiara ispirazione filofemminista - tra gli altri spicca l'esponente dell'associazione Maschile plurale, Stefano Ciccone - o neofemminista, con la partecipazione di militanti dell'ormai famigerato SNOQ o dei vari comitati per le pari opportunità istituiti ovunque.
A questa informazione lo stesso Claudio, nel suo commento, aggiunge una considerazione personale che vale mettere in rilievo: «io credo che se vogliamo contrastare una certa mentalità, e non solo, dobbiamo uscire allo scoperto e farci sentire, altrimenti potrà solo andare peggio».
Vorrei partire da questa considerazione per ripercorrere brevemente alcune tappe della mia partecipazione personale alla questione maschile arrivando, con ciò, a formulare una risposta alle sollecitazioni di Claudio; risposta che potrà, forse, non soddisfarlo ma che, spero, lo induca a motivi di riflessione più decisivi.
Ho cominciato ad interessarmi di questione maschile tra la fine del secolo scorso e gli inizi dell'attuale.
Negli anni di cui parlo, compresi tra il 1999 ed il 2001, esistevano - che io abbia potuto constatare allora - solo tre siti ad occuparsene stabilmente, tra le molte migliaia che già popolavano il web: Maschi Selvatici, Uomini 3000 e Pari diritti per gli uomini (il vecchio sito di Marco Faraci, ormai abbandonato).
Il libro manifesto di Warrenn Farrell - Il mito del potere maschile - era stato pubblicato pochi anni prima (l'edizione in italiano in mio possesso data l'anno 1994) e Claudio Risé aveva già pubblicato alcuni saggi in materia, compreso quel «Maschi Selvatici» a cui si sarebbe ispirato il relativo movimento d'opinione, tuttora attivo.
Niente altro.
Negli anni precedenti, la conferenze internazionale del Cairo del 1994 sulla condizione femminile nel mondo - promossa e finanziata dall'ONU, istituzione strategicamente colonizzata dal femminismo militante - era stata la spinta acceleratrice verso la consacrazione e la legittimazione ufficiale di una cultura anti-maschile che avrebbe preso a manifestarsi, negli anni successivi, con massicce campagne di stampa capziose e parziali, pregne di antagonistico e rancoroso male-bashing, oltre che di rappresentazioni grottesche e deformate della realtà femminile, soprattutto e paradossalmente proprio nel mondo occidentale piuttosto che altrove.
Il tutto sotto l'egida e l'ombrello incontestabile dell'ONU e di altri organismi internazionali di salvaguardia planetaria, che frullavano la condizione della donna del Burundi insieme a quella svedese, quella nigeriana con l'italiana, la marocchina con l'americana.
A fine anni novanta, come ricordato, le voci di dissenso rispetto a quella sconsiderata deriva ideologica avevano cominciato a prendere fiato, ad emettere i primi flebili vagiti rimanendo, tuttavia, confinate in una sorta di deliberata penombra; quasi come se "uscire allo scoperto" dovesse essere rinviato a tempi migliori.
Infatti, in quella piccola "ridotta" dell'ambiente internettiano, a cui mi ero andato accostando per trovare conferme delle enormi dissonanze cognitive tra racconto femminista dominante e realtà osservata dei fatti, predominava, a mia memoria, il mito della «massa critica»; ossia, l'idea dominante che l'obiettivo prioritario per ogni possibile sviluppo della questione maschile fosse quello di raccogliere un numero di adesioni abbastanza ampio da accreditarsi per consistenza numerica.
L'illusione si sarebbe scontrata, fatalmente, con la insormontabile disparità di risorse disponibili, di leve qualificate per muovere l'attenzione pubblica; mentre il femminismo, pur nelle sue diverse declinazioni teoriche, andava ramificandosi nelle istituzioni, nei media, nei partiti, nelle scuole e nelle università raccogliendo consensi crescenti ed acritici, il dissenso maschile su quei temi non andava oltre le conversazioni on-line tra i pochi, abituali attivisti di sempre e poco altro.
Piuttosto che privilegiare la bontà degli argomenti e l'approfondimento qualitativo e informativo delle tematiche, si preferiva tentare - questa la mia lettura dei fatti - il coinvolgimento umorale delle persone, spesso senza andare oltre il dato meramente emotivo ed immediato dell'esperienza personale o dei singoli fatterelli estratti da un contesto più ampio e significativo.
Per questo motivo fondamentale mi allontanai, abbastanza presto, da quell'esperienza.
Sarebbe, tuttavia, oltremodo ingeneroso ed ingiusto sostenere che quegli sforzi pionieristici, su un terreno di frontiera comunque impervio e difficile, non siano serviti a nulla; a distanza di oltre dieci anni il numero di siti che si occupano di questione maschile si sono moltiplicati, le idee circolano, il numero di coloro che sanno cosa possa significare QM - pur nell'ineliminabile diversità di approcci e di definizioni - è continuato e continua a salire.
Non sono, però, serviti - questo il succo di tanto prologo - a mettere chi fa, da anni, della QM un motivo di ricerca e di militanza, anche solo personale, nella condizione di farsi sentire, di manifestare il proprio pensiero con gli strumenti democraticamente ammessi della protesta civile, del raduno pubblico, anche della piazza.
Mancano un movimento ufficiale con uno statuto chiaro, pubblico e definito, parole d'ordine condivise, una leadership riconosciuta e legittimata dai diversi partecipanti, una strutturazione teorica ed organizzativa stabile e convincente.
Manca, insomma, quel «noi» che nell'invocazione - pur legittima e condivisibile - Claudio dà per presupposto: «se vogliamo contrastare una certa mentalità dobbiamo uscire allo scoperto e farci sentire».
Noi chi?...caro Claudio
E in che modo si dovrebbe uscire allo scoperto?
Andando a fare sterili ed individuali azioni di disturbo? é una logica che non mi appartiene.
Promuovendo improbabili contro manifestazioni di protesta? manca qualunque elemento di coesione tra le varie anime della QM per una simile organizzazione.
In quale altro modo pensi sia possibile «farsi sentire»?
Intendiamoci, questa esigenza l'ho avvertita prima ancora di te; non a caso e non per nulla ho ripercorso alcuni passaggi personali degli anni scorsi.
Per dirti che ciò che non ho trovato allora continuo a non vederlo oggi.
Soprattutto non vorrei che continuasse a prevalere, negli ambienti che si occupano di condizione maschile, il mito della massa critica; ossia, l'idea che per essere ascoltati si debba essere in tanti e strillare più forte degli altri o delle altre, magari sulla pubblica via.
Non è così che funziona, la storia degli ultimi dieci anni, oltre al buon senso, ci dimostra che sono le buone idee, le ragioni fondate, il quadro teorico d'insieme e la trasparenza degli obiettivi a convogliare consenso.
Quando a quel convegno della cgil - o a qualunque altro simposio pubblico - sarà invitato qualche autorevole esponente di un movimento maschile strutturato e forte, allora avremo ottenuto l'ascolto pubblico che vogliamo entrambi.
Prima di allora sarebbe necessario e propedeutico costruire quel noi che manca all'appello.
Prima di allora, se mai verrà quell'ora, mi limito ad emettere i miei vagiti da questo blog, nella speranza che siano ripresi ed ampliati da altri più capaci di me e diventino, finalmente, voce alta e forte.
No, alle terme di Caracalla io non ci sarò ma ne potrò parlare da qui; e, almeno per ora, tanto basta.
Non potrebbe essere diversamente, comunque.