Le chiamano "pari opportunità" ma sono dispari




L'ingresso delle donne nei diversi corpi armati, militari o di polizia, presenti nel nostro Paese è un dato acquisito ed è da molti ritenuto indicativo del fatto che - laddove poste in condizioni di pari opportunità con gli uomini alle posizioni di partenza - le donne sarebbero in grado di fare le stesse cose, svolgere le stesse funzioni e conseguire i medesimi risultati, anche in quei difficili settori di attività.
Le tante donne in divisa che si vedono oggi, soprattutto sulle riviste e nelle fiction televisive, vengono salutate da alcune/i come uno dei traguardi delle pari opportunità democraticamente raggiunto e consolidato dai fatti.
Ma il tutto si fonda, essenzialmente, su una monumentale finzione collettiva.
Finzione che è, peraltro, duplice: da un lato consiste nel credere o nel far credere che in quelle posizioni di partenza ad essere valutato e misurato sia il merito effettivo della persona, indipendentemente dal sesso e sulla base di parametri identici ed oggettivi per tutti.
La famosa ma inesistente uguaglianza di fatto.
Dall'altro, consiste nel credere o nel far credere che, una volta superata la selezione prevista per il reclutamento, sia uomini che donne andranno a svolgere le stesse funzioni sul campo.
La famosa ma inesistente uguaglianza di diritto.
Quanto a questo secondo aspetto della finzione collettiva, basterebbe ricordare che la diversa operatività tra uomini e donne in uniforme è espressamente prevista dalle norme in vigore, che sottraggono in larghissima misura le donne dai compiti più rischiosi e impegnativi; tra le forze di polizia, ad esempio, è esplicitamente previsto, nella legge 121/1982 di riforma, l'esonero femminile dai compiti di ordine pubblico (manifestazioni di piazza, disordini allo stadio, vigilanza nei cortei politici etc.).
Altre considerazioni di merito sulle donne militari le abbiamo già affrontate nell'articolo «La metà di tutto».
Quanto al primo aspetto della finzione, abbiamo ricevuto tra i commenti la testimonianza diretta - ictu oculi, per così dire - di un partecipante all'ultimo concorso per 1.600 Allievi Agenti della Polizia di Stato, che si è svolto recentemente.
Così come lo abbiamo ricevuto lo proponiamo con particolare risalto - acquisito il consenso indiretto dell'autore, che ringraziamo - per il notevole valore testimoniale in materia.
Naturalmente, per consentire l'accesso di queste donne ai posti in concorso sono stati "scartati" e sacrificati altrettanti uomini, con ogni probabilità più meritevoli e adatti ad occupare quelle funzioni.
Come si potrà constatare, tanto alle posizioni di partenza (selezioni, reclutamenti, concorsi) quanto alle posizioni di arrivo (quote rosa in politica ed economia) il mondo delle donne è ben lontano dal poter raggiungere alcuna parità o uguaglianza effettiva.
Si tratta solo di una categoria assistita dai poteri pubblici.
Questa la monumentale finzione.
Del resto, la pari dignità è qualcosa di completamente diverso dall'uguaglianza e con essa ha poco a che fare.

«Promemoria del concorso 1600 Allievi Agenti 2010/11 della polizia di
stato. Il promemoria riguarda le prove psicoattitudinali svoltesi nel
mese di Luglio 2011. Ogni giornata prevedeva un gruppo di 60 persone
circa, questo resoconto quindi tiene conto dall’esperienza personale di
uno solo di questi gruppi, pur rimanendo identiche le modalità e tempi
di svolgimento.

1. Prove di efficienza fisica differenziate tra uomini e donne: La prova
di corsa è risultata alquanto dubbia, in quanto gran parte delle donne
mostravano una manifesta impreparazione atletica, constatabile anche
visivamente a causa della forma fisica sicuramente non rientrante nei
canoni del peso forma.

Molte di loro, pur dovendo affrontare la prova dei 1000m piani in 4’45” a
differenza dei colleghi uomini che avevano in limite in 4’15”,non hanno tenuto
sicuramente un passo idoneo per il superamento della prova. Nessuna di
loro è risultata non idonea alla prova, considerando che solo una decina
di candidate hanno dimostrato una preparazione idonea. Molte delle
suddette, si sono anche permesse di insultare i candidati maschili
mentre osservavano le prove, in quanto alle donne era stato concesso di
partire per prime, in previsione del fatto che la prova si sarebbe poi
prolungata nelle ore più calde della giornata.(E’ da considerare che chi
aveva già sostenuto la prova poteva osservare le altre batterie della
corsa stando seduto sotto un gazebo all’ombra attrezzato per
l’occasione). Si potrebbe anche ragionare sul fatto che la migliore
delle candidate femminili non sarebbe rientrata nel tempo minimo dei
candidati maschili, in quanto classificatasi prima con 4’18”.
Il salto in alto ha visto scartati 3 uomini e 0 donne. Altezza prevista per le donne 90cm. Altezza prevista per gli uomini 110cm. Per chi è un minimo esperto del settore,
capirà come 20 cm possano fare la differenza in uno sport di questo
tipo.

Per quanto riguarda le prove di forza invece, sollevamento alla sbarra e
piegamenti, risultano un mistero in quanto le prove femminili si sono
“tenute esclusivamente a porte chiuse”, a differenza di quelle maschili
ovviamente di pubblico dominio.

A prescindere dal fatto che ritengo che sostenere una prova sotto lo
sguardo di un pubblico che ti osserva sia completamente diverso dal
sostenerlo in separata sede al riparo da sguardi “indaganti” magari di
un sesso opposto al nostro. Mi sembra obbligatorio riportare per
ammissione di alcune candidate stesse, che le donne sono state agevolate
nell’espletamento delle prove di forza.

1. Gli esaminatori aiutavano le donne sostenendole sui fianchi durante i
sollevamenti alla sbarra, ed era loro concesso lo stacco con slancio
da terra per effettuare la prima trazione. (Donne 2 trazioni per
superamento. Uomini 5 trazioni per superamento)
2. Gli esaminatori contavano con estrema
sufficienza il numero massimo di piegamenti alle donne.
(10 flessioni per le donne. 15 flessioni per gli uomini).
Prove di accertamento fisico:
Anche qui la disparità di trattamento è emersa violentemente fin dai
primi momenti, in quanto alle candidate ci si riferiva con “donne” ai
candidati con l’appellativo di “maschietti”. Le dottoresse che poi
esaminavano gli aspiranti per la valutazione medica generale della
vista, peso altezza, patologie generali, erano definite dalle candidate
stesse “acide”. Si dimostravano infatti scortesi ed arroganti, prive del
tutto di tatto e professionalità. Va considerato inoltre che alle donne
chiaramente è stata concessa una commissione medica del tutto
femminile, mentre agli uomini una commissione mista composta per lo più
dalla commissione femminile con l’aggiunta di un collega maschile.»