Voglio tutto



Quanti di noi da bambini si sono trovati davanti al bancone del gelataio - quella strepitosa tavolozza multicolore di creme zuccherine - senza riuscire a decidersi sui gusti da farsi mettere sul cono?
Ne puoi scegliere solo due o tre, ci dicevano i genitori o la commessa, custode privilegiata di quel mondo meraviglioso al di là della vetrina.
L’unica disdetta in quella situazione bambina era dover scegliere, perché se andavi per il pistacchio verde restava fuori l'amarena rossa, il torroncino (‘che solo il nome era una tentazione) escludeva la stracciatella, la fragola rosa impediva l’accesso anche alla nocciola.
Noi, che arrivavamo appena con il naso alla vetrina del bancone, ci sporgevamo il più possibile, girando gli occhi da un capo all’altro di quel luogo della fantasia, per non dimenticare nessuna di quelle meraviglie colorate a nostra disposizione.
Certo il rito si sarebbe ripetuto presto, forse il giorno successivo se non ci facevamo venire il mal di pancia per altre ragioni. E, però, l’istinto forte del desiderio bambino ci avrebbe portato a dire «li voglio tutti» senza riuscire a capire esattamente perché si dovesse fare una selezione così ridotta – solo due o tre gusti – mentre la tentazione stava in un campionario tanto largo e disponibile di cose buone e colorate.
Non so a quanti succedesse così - ma a me capitava.
Ora, invece, mi capita di chiedermi se i bambini di oggi, per i quali le possibilità di scelta si sono moltiplicate a dismisura, abbiano le stesse tentazioni e se potranno dirsi davvero fortunati, una volta diventati adulti, di aver potuto disporre anche dei gusti mentacioccolata, cannella o “puffo” (il cinico derivato di fantastici omini blu) e delle praline e degli sciroppi di vari tipi che ai tempi della mia infanzia non erano ancora diffusi.
Gestire i propri desideri in uno scenario così ampliato di sollecitazioni e possibilità deve essere, comunque, più arduo di prima; e questo è certo.
Ma perché vado facendo queste rievocazioni degli anni infantili e supposizioni su quelli odierni?
Perché l'analogia con i tratti comportamentali tipici e legittimati della donna emancipata contemporanea calza a pennello con questa descrizione delle incontinenti voglie infantili.
«Voglio tutto» è l'imperativo categorico della donna media nella grande gelateria - sfavillante di luci, colori e possibilità - che la società mette oggi a sua disposizione sul bancone dei "diritti".
Voglio essere madre ma voglio fare anche carriera, voglio essere bella ma essere considerata bella solo quando dico io, voglio essere considerata brava ma anche aiutata con le quote rosa, voglio sospingere il desiderio maschile ma anche respingerlo a mio piacimento, voglio sposarmi ma anche restare libera, voglio il potere ma non la fatica di doverlo conquistare, voglio l'uomo tenero e sensibile ma anche forte e maschio, voglio un padre per i miei figli ma anche potermene disfare al momento giusto, voglio prostituirmi ma senza essere giudicata moralmente per questo, voglio schernire senza essere schernita, voglio essere rispettata senza rispettare; voglio tutto - insomma - senza condizione alcuna.
E' o non è, questo, un campionario degli atteggiamenti femminili più diffusi nel nostro tempo, che non trovano analogo riscontro in quelli maschili?
Per coloro che intendessero evitare di guardare in faccia la realtà senza occultarla dietro a mille giustificazionismi ricorderò semplicemente che buona parte di quelle "pretese" sono già state codificate nel diritto positivo e, comunque, legittimate al più ampio livello culturale ormai da tempo.
Ma cosa rende apparentemente del tutto legittime queste pretese? Come mai se apprendiamo sin da piccoli che "l'erba voglio cresce soltanto nel giardino del re" - imparando, in tal modo, a tradurre i nostri infantili capricci in ragionevoli aspettative da porre in relazione con quelle di altri - questo insegnamento di rispetto per l'altro da sé svanisce e perde significato e valore per il mondo femminile adulto?
Cosa cambia, in buona sostanza, tra i capricci del bambino davanti al bancone del gelataio e quelli della donna media occidentale davanti alla vetrina imbandita dei "diritti di favore" che politica, media, cultura accademica, sindacati, psicologi, magistrati, opinion leader e istituzioni internazionali si preoccupano di metterle sistematicamente a disposizione con la massima premura e deferenza possibili?
La risposta a queste domande potrebbe essere sin troppo facile e scontata: la condizione di minorità (psico - fisica) del bambino è tutelata dalle figure genitoriali che se ne prendono cura; la condizione di minorità sociale della donna (vera o falsa che sia, al momento non porremo il problema) è posta sotto la tutela di istituzioni (politiche e culturali) le quali agiscono con l'attenzione paternalistica e compensativa che si riserva ai "soggetti deboli" (o che in tal modo si autodefiniscono).
Questo genere di spiegazione è, in effetti, il mainstreaming prevalente intorno ai temi della condizione femminile.
In base a queste considerazioni si potrebbe quindi osservare che tra la condizione infantile e quella femminile cambia poco, quantomeno nella sostanza; entrambi bisognosi di particolari tutele, cambiano soltanto i soggetti - personali o istituzionali - chiamati ad esercitare questa funzione.
Tuttavia, la vera differenza da porre in rilievo è un'altra: le due forme di protezione - affettiva ed educativa l'una, politica e giuridica l'altra - conducono ad esiti completamente diversi, pur muovendo da un assunto del tutto analogo.
Mentre la cura genitoriale prevede chiare delimitazioni e confini ai desideri infantili, armonizzandoli al contesto ed indirizzandone i contenuti verso un orizzonte di sostenibilità soggettiva ed oggettiva, la "cura" del paternalismo sociale in favore della donna non contempla alcun tipo di limite, condizione o dovere correlati alle pretese di speciali vantaggi che il mondo femminile pretende.
Se, da un lato, la battaglia per il raggiungimento di status privilegiati è l'obiettivo dichiarato e perseguito senza mezzi termini dal femminismo in un'ottica di antagonismo esplicito con il mondo maschile, dall'altro lato esiste un terreno di coltura su cui questo tipo di semi ideologici può attecchire e svilupparsi, indipendentemente dal loro contenuto effettivo.
Ne accenniamo brevemente in questa sede rinviandone la trattazione più estesa ad un prossimo articolo specifico: si tratta dei c.d. "diritti-desiderio", figura retorica con la quale si vuole designare un particolare carattere assunto dalle tutele politico-giuridiche nell'occidente post-moderno.
Un contesto nel quale, come vedremo, si va realizzando un conflitto sotterraneo tra una concezione ordinamentale del diritto - diritto regolativo - ed una concezione soggettivista del diritto stesso nell'ambito di quella cultura di fondo che è stata definita "individualismo preferenzialista".