I diritti-desiderio non sono per tutti



«Ciascuno dei cosiddetti diritti dell’uomo è la negazione di altri diritti dell’uomo e, se esercitato separatamente, genera ingiustizie».
La citazione è di Michel Villey, filosofo del diritto francese le cui tesi sono richiamate nel dibattito a più voci sui cosiddetti “diritti-desiderio”, pubblicato dal sito Il Sussidiario e avviato da un corposo articolo di Guido Piffer e Tomaso Emilio Epidendio, magistrati e giuristi; dibattito tuttora in corso, con pluralità di qualificati interventi.
Nell'articolo in questione e negli altri che ne sono seguiti viene sostenuta una tesi non nuova, ma di particolare interesse se osservata dalla particolare angolatura del giurista. La tesi è che sia in corso una mutazione profonda del concetto di diritto soggettivo e dello stesso ragionamento giuridico a cui dà luogo, allo scopo di corrispondere alle aspettative della nuova antropologia egotista ed autoreferenziale così diffusa nella cultura e nelle dinamiche sociali del c.d. mondo post-moderno.
Con la secolarizzazione da un lato e la caduta delle grandi utopie laiche dall'altro, è venuta meno la possibilità teorica e pratica di pensare ad un «bene comune» come ad uno dei possibili obiettivi a cui dovrebbe tendere tanto la produzione legislativa quanto la concreta applicazione delle norme del diritto vivente.
Il politeismo dei valori, il conseguente rifluire delle singole coscienze nel privato, l'atomizzazione dei rapporti sociali che Bauman ha descritto nella società liquida, la perdita di fiducia in un futuro comune che occupa la riflessione sociologica sin dagli anni settanta, non sono affatto temi nuovi; ciò che appare come un fenomeno emergente, correlato a quelle dinamiche generali già previste e teorizzate da tempo, è il rapporto che si instaura tra cittadino e norma o, meglio, tra cittadino e diritto a seguito di quei mutamenti sociali.
Nell'epoca dei diritti-desiderio - scrivono gli autori - «si assiste alla rivendicazione come diritto di qualunque pretesa soggettiva, cioè di qualunque desiderio, espressione di una concezione dell’esistenza individualistica (ciò che esiste è solo il singolo con le proprie aspirazioni) e relativistica (non esiste nessun criterio oggettivo di giudizio esterno al soggetto).»
Si denota così un preoccupante spostamento di accenti da una concezione del diritto inteso come disciplina dei rapporti sociali – la funzione intimamente limitativa e ordinativa dello jus classico - ad un’altra concezione "ampliativa", secondo la quale funzione del diritto (inteso come corpo normativo) sarebbe quella di assicurare adeguato riconoscimento al diritto soggettivo di volta in volta ritenuto prevalente nella specifica circostanza, spesso a scapito degli altri diritti coinvolti.
Questo fatto si rende particolarmente evidente - secondo gli autori che, è bene ricordarlo, sono magistrati in servizio - nell'azione quotidiana del giudice, il quale mette sempre più frequentemente il proprio magistero al servizio di un valore ritenuto prioritario, arrivando per tale via a quell'argomentazione per diritti che, «anche a costo di forzare il dato normativo», tende essenzialmente a dare riconoscimento ad un diritto soggettivo considerato più degno di tutela degli altri coinvolti, arrecando in tal modo una lesione a questi ultimi e alla terzietà della propria funzione.
In questa prospettiva, inoltre, ciò che si va facendo più rarefatto e irriconoscibile nella dinamica dei rapporti giuridici è che ad ogni diritto soggettivo corrisponde un sistema di doveri degli altri attori sociali o, comunque, una delimitazione delle altrui libertà.
«Noi tutti - scrivono ancora Piffer ed Epidendio - siamo abituati a pensare che se affermiamo un diritto stiamo facendo qualcosa di positivo, stiamo tutelando un debole di fronte all’oppressione di una forza che vuole predominare ingiustamente. Soprattutto ci sembra che se affermiamo e quanto più affermiamo l’esistenza di diritti, tanto più estendiamo le possibilità dei soggetti a cui li attribuiamo e, quindi, facciamo qualcosa di positivo per tutti. Con l’affermazione della logica individualista del diritto-desiderio è emersa invece la portata retorica negativa del “linguaggio dei diritti”: essa occulta l’idea che trasformare ogni desiderio in diritto implica riconoscere un’enorme quantità di obblighi a carico di altri.»
La decadenza di una comune base metagiuridica nella quale andare a rintracciare "ciò che è oggettivamente giusto" - le fondamenta naturali del diritto, secondo alcune interpretazioni dottrinali - apre in tal modo la strada ad istanze particolari a scapito di altre, quando non nasconde la volontà soggettiva di modellare i fatti giuridici secondo preferenze ideologiche.
Il «bene comune» che si è smesso di cercare è, infatti, il luogo idealtipico dove contemperare le esigenze dell'individuo con quelle della società, affinché il desiderio di tizio non diventi il sacrificio di caio ed il bene di una parte sociale non si traduca nel male dell'altra.
Naturalmente, il dibattito in questione ha ben altra profondità di analisi e spessore concettuale; tuttavia, se volessimo racchiudere il senso delle tesi esposte in una definizione riassuntiva, si potrebbe dire che la denuncia ha a che fare con quell'iper-politicizzazione della sfera sociale che - oltre ad avere raggiunto e invaso la sfera privata dell'individuo, modificandone le aspettative rispetto ai pubblici poteri - alligna persino nei luoghi della neutralità ideologica per definizione, quali i tribunali e le sedi deputate alla semplice applicazione super partes delle norme in essere.
Sicché, con buona pace di quanti vanno proclamando, ormai da anni, il declino delle ideologie, ritenute semplici residuati di un novecento sorpassato dalla storia, siamo costretti ad ammettere che la logica dei valori in reciproca contrapposizione è più viva che mai; anzi, essendo entrata stabilmente nella mentalità della persona comune, acuisce quelle conflittualità sociali nelle quali la rivendicazione di un diritto dell'io o del noi si traduce nell'affermazione perentoria di un valore che si proclama superiore e prevalente, contro il disvalore incarnato dal tu o dal loro.
«C’è una sorta di aggressività - si legge in uno degli altri contributi pubblicati - che sottende la logica dei valori che spiega l’espressione tirannia dei valori: “il valore superiore ha il diritto e il dovere di sottomettere a sé il valore inferiore”. Lungi dal neutralizzare il conflitto, la logica dei valori inasprisce la lotta delle convinzioni e degli interessi, facendo scomparire ogni riguardo nei confronti del nemico, in quanto “il non-valore non gode di alcun diritto di fronte al valore”.»

Piffer ed Epidendio, in quanto giuristi conservatori, hanno in mente una casistica concreta come l'invocato diritto al matrimonio omosessuale, l'invocata abolizione del Crocifisso nelle scuole, gli invocati diritti degli immigrati, l'invocato diritto all'eutanasia e invocazioni analoghe.
Tuttavia, si potrà comprendere come sia stato leggendo l'intero dibattito - sotto la suggestione di quella citazione iniziale - che mi sia passato per la mente di immaginare il precedente articolo "Voglio tutto".
Se, infatti, c'è un terreno nel quale lo spostamento dell'attenzione giuridica dal rapporto al soggetto si dimostra più fertile e gravido di effetti tangibili, quello è sicuramente il terreno del rapporto tra i sessi.
Tornando alla sommaria elencazione dei desideri femminili che sono stati riconosciuti come diritti o ancora attendono di essere sanciti, formulata nell'articolo a cui si fa seguito e si dà chiusura, ci si accorgerà che non sono affatto distanti da quella concezione di posizione giuridica soggettiva prevalente che spesso, se non sempre, viene riconosciuta nel farsi della vicenda giuridica, a scapito di quella maschile.
Non esiste, anzi, quasi nessun altro rapporto sociale nel quale l'affermazione di diritti soggettivi abbia assunto connotazioni tanto antagonistiche, ultratutelate in sede di giudizio e pressoché prive di un corrispettivo oneroso, in termini di doveri correlati a vantaggio della controparte, quale la rivendicazione dei diritti femminili nei rapporti familiari, lavorativi, sociali, politici e persino giudiziari.
Sappiamo anche quale sia l'ideologia sottesa a questo fenomeno e la tirannia del valore che intende affermare: quello dell'uguaglianza a tutti i costi e del livellamento forzato tra un sesso e l'altro.
Sicché, se è vero, come è vero, che viviamo nell'epoca dei diritti-desiderio, è altrettanto vero che non tutti i desideri godono della medesima considerazione e delle stesse tutele, i diritti-desiderio non sono per tutti e c'è sempre qualcuno che, in nome dell'uguaglianza, "è sempre più uguale degli altri", come Orwell aveva già capito tanto e tanto tempo fa.