Belle o intelligenti? La mignottocrazia - parte 1^

Può una donna bella essere anche intelligente?


Interrogativi di questo tipo sembravano superati ormai da tempo in nome del principio di uguaglianza tra i sessi e dopo le accalorate battaglie del femminismo sul tema della definizione sessuale e del suo rapporto con l’identità della persona.
Sappiamo comunque per certo che chiunque si avventurasse in un simile dubbio sarebbe sicuramente imputato di “maschilismo” e dichiarato incompatibile con la comunità dei “veri democratici”.
Il principio sembrava, infatti, chiaro e stabilito una volta per tutte; le società non sessiste (e non razziste) non possono ammettere pregiudizi fondati su caratteri esteriori, fonti di quel peccato originale della storia umana che passa sotto il nome di “discriminazione”.
La ben nota Naomi
Le persone non devono essere valutate per il colore della pelle, per il sesso, per come si vestono, per la fisiognomica o per altre caratteristiche esteriori ma, piuttosto, per ciò che sanno o che non sanno, per ciò che fanno o che non fanno; detta più in breve, per ciò che sono o dimostrano di saper essere.
Chi potrebbe mai mettere in discussione un principio di tanta evidente “giustezza”?
Chi potrebbe mai mettersi in difesa di un pregiudizio?
Chiunque pensi che non si devono valutare le persone per la propria etnia, età, sesso, condizione sociale, credo religioso o politico non potrà certo ammettere che una donna sia valutata per il suo aspetto.

Questione chiusa? Non proprio.


La civiltà dell’apparenza


I fatti e, più in generale, quelli della nostra cultura quotidiana e popolare ci dicono, in aperta contraddizione con quei sacrosanti principi attinenti al merito della persona, che la bellezza non è solo un valore particolarmente ricercato al giorno d’oggi ma che è particolarmente ricercato e coltivato proprio dalle donne, le quali ne fanno un motivo di impegno personale e, assai spesso, un vero e proprio scopo e uno stile di vita.
Non c’è davvero bisogno di scomodare statistiche sul consumo medio pro capite di servizi e beni estetici per affermare che il mondo femminile è il destinatario principale, se non spesso esclusivo, di questi beni e di questi servizi; e lo è su base del tutto volontaria e, anche, completamente voluttuaria. L'inverso, al maschile, non si riscontra né negli stessi termini né con proporzioni lontanamente paragonabili.
L’affermarsi del principio politico dell’uguaglianza, infatti, non ha modificato di una virgola i bisogni femminili in rapporto alla bellezza (il bisogno di sentirsi belle e desiderabili) che tali rimangono, mutatis mutandis, dalla notte dei tempi ad oggi; né ha modificato di una virgola i bisogni maschili derivanti dalla loro (nostra!) dipendenza psico-ormonale dalla bellezza femminile.
La velina Belen Rodriguez
Al contrario, la sfera della sessualità, a cui l’avvenenza femminile si rivolge per sistematica evocazione, non ha mai conosciuto sviluppi tanto debordanti, pervasivi e pronunciati come quelli del nostro mondo attuale; un fenomeno alimentato a getto continuo da un’offerta di bellezza e di sollecitazione erotica pressoché inesauribile e costante, fondata sull’apparenza, sul corpo e sull’immagine (appunto) esteriore che moltissime donne volontariamente – e, spesso, provocatoriamente - esibiscono, tanto nel mondo dello spettacolo quanto nella più banale vita quotidiana che a quel mondo finisce spesso per ispirarsi.
Come amplificatore ed acceleratore di questi comportamenti ci si è messa, infatti, anche l’industria cinematografica, televisiva e mediatica in generale; le reginette di bellezza sono una moda relativamente recente.
Secondo wikipedia, il concorso MissItalia nasce ufficialmente nel 1946 - tra le macerie della guerra – è preceduto solo dall’omologo MissAmerica del 1921 e sarà seguito, agli inizi degli anni cinquanta, dai concorsi estetici degli altri paesi occidentali, sino a raggiungere poi livelli planetari con i ben noti MissMondo e MissUniverso. Tutte selezioni di valore estetico femminile su base assolutamente volontaria; anzi, entusiastica.
Anche in questo caso non bisogna essere dei raffinati analisti per comprendere la stretta correlazione esistente tra sviluppo del mezzo cinematografico (prima) e televisivo (poi) con il valore sociale crescente dato all’immagine ed all’apparenza, sia dalla società in generale che, in modo molto più diretto e interessato, dal mondo femminile; la più bella del reame è semplicemente passata dal livello fiabesco a quello commerciale.
Ritornando alle nostre originali riflessioni, possiamo quindi dire che quel “pregiudizio” sul valore sociale della donna in base all’estetica che si voleva buttare dalla finestra è rientrato comodamente dalla porta, colà invitato dalle donne stesse le quali - a differenza di poche femministe illuse - non se ne sono mai volute privare.
Il desiderio narcisistico di piacere in senso esteriore sembra, insomma, un bisogno talmente connaturato alla natura femminile che nessun intervento politico di riforma e nessuna rivoluzione culturale sono stati in grado di cancellare; al contrario, dopo decenni di femminismo più o meno urlato i dati di realtà stanno lì a documentare che quel bisogno è avvertito più forte e stringente che mai, semmai, ampliato a dismisura rispetto ad un passato senza femminismo.
Tutto questo, però, ancora non ci dice se e per quale motivo una donna bella non possa essere anche una donna intelligente.
Ci dice, comunque, che pur non essendo incompatibili in astratto tra loro, alla bellezza e all’intelligenza femminile si dovrebbe dare un valore relativo al contesto sociale in cui sono espresse; nessuno si aspetta da un dirigente politico come la Binetti che sia bella, pur potendolo essere, nessuno si aspetta da una velina come la Belen che sia anche intelligente, pur potendolo essere.

La mignottocrazia

Tralasciamo per qualche momento i nostri ragionamenti sul piano generale e collochiamo il nostro argomento in una sede più specifica.

La ministra delle pari opportunità
Mara Carfagna
A complicare le cose, piuttosto che mettere dei punti fermi sulla questione, ci ha pensato una parte tutt’altro che trascurabile dell‘intelligentsia nostrana se è vero, com’è vero, che sulla vexata quaestio dell’antinomia bella/intelligente continuano ad accapigliarsi, nonostante tutto, meningi collaudate come quelle di Vittorio Sgarbi - dalle pagine del Giornale – e, nientepopòdimenoche', Massimo Fini in singolar tenzone con Paolo Guzzanti, dalle colonne del Fatto quotidiano.
Come si vede, la faccenda ha una sua trasversalità non comune ed occupa l’attenzione di intellettuali di un certo rango, non circoli di camionisti o negozi di barbiere.
L’origine del contendere non riguarda solo l’imprevedibile arrivo in sede governativa di una ex velina come la Carfagna (intorno a cui si accapigliano Fini e Guzzanti) ma pare abbia investito anche altre due veline ancora in servizio attivo – Canalis e Belen – apparse in alcune vignette satiriche di un certo Disegni (nomen omen) disegnate senza la testa, come a rappresentare che il loro successo sarebbe dovuto esclusivamente a tutto ciò che sta sotto al collo e non ad altre e più artistiche ragioni rintracciabili in sede cerebrale.
Le veline
"Essere belle non è una colpa" - ammonisce Sgarbi contro Disegni.
"La mignottocrazia - dice invece Guzzanti da diverso tempo e più recentemente con un libro ad hoc - è un sistema politico fondato sul sex appeal.....un sistema di selezione delle classi dirigenti".
Fini in realtà non ha un'opinione particolarmente qualificata in materia, limitandosi ad anteporre la moralità, la coerenza e la genuinità della Carfagna a quelle dello stesso Guzzanti.
Nessuno di loro - tranne tale Disegni - si sbilancia, insomma, sul tema di merito; il fatto che essere belle non è una colpa nulla ci dice intorno alla compatibilità tra bellezza e intelligenza, tant'è vero che Sgarbi per documentare come data questa possibilità è costretto ad elencare una serie di attrici il cui merito sarebbe, appunto, quello di avere avuto "l'intelligenza di saper sfruttare la propria bellezza".
Attrici, non scienziate; furbizia, magari, non intelligenza.
Anche il mondo intellettuale, insomma, sembra essersi accorto, in qualche modo ancora fumoso, che la bellezza, l'avvenenza, il sex appeal - o, comunque si voglia chiamare quell'attitudine tutta femminile al richiamo sessuale - può essere utilizzata strumentalmente per finalità diverse da quelle della sessualità fine a sé stessa.
Anche se la conclusione sembra essere un pò tardiva, tuttavia c'è chi comincia a farsene un problema.
Il punto è che ancora nessuno di questi illuminati contendenti arriva a definire la questione con la terminologia appropriata alla bisogna; raschiando il fondo logico del problema, infatti, non si può sfuggire alla conclusione che la bellezza, l'avvenenza, il sex appeal - o, comunque si voglia chiamare quell'attitudine tutta femminile al richiamo sessuale - è un potere, niente di più e niente di meno che un potere, laddove con il termine "potere" deve intendersi la possibilità di influenzare e dirigere gli altrui comportamenti per finalità scelte da chi esercita questa possibilità.
Può sembrare una banalità ma le implicazioni sociali e comportamentali - oltre che quelle storiografiche - sono tutt'altro che scontate.
[continua]