Belle o intelligenti? La mignottocrazia - parte 2^


[…prosegue]

Empowerment femminile e progresso sociale


In effetti, secondo molti/e il termometro che riesce a dare la misurazione attuale del “progresso” sarebbe graduato principalmente sulla presenza femminile nelle diverse attività umane; sicché la prima donna arbitro, la prima donna astronauta, la prima donna presidente di Confindustria e la prima donna che ha scalato l’Everest sarebbero alcuni degli indicatori della nostra civiltà ed il suo valore aggiunto. Il concetto cardine intorno a cui ruota questa idea di “progresso” è contenuto in un termine molto utilizzato ma poco conosciuto nel suo significato proprio - il c.d. empowerment – che con il potere ha in qualche modo a che fare.
massimo d'alema e le gambe di emma marcegaglia
Volendone dare una definizione compiuta si scopre che l’abituale espressione – empowerment femminile – non è riducibile al vecchio motto femminista “più potere alle donne” ma che, da un lato, il concetto che esprime è molto più astruso di quanto non si pensi e, dall’altro, che ha un’origine, una valenza ed un’intonazione talmente politica, in un senso molto più ampio della semplice vulgata femminista, da qualificarsi, secondo coloro che lo promuovono, come sinonimo del concetto stesso di progresso.
"Empowerment – secondo una fonte autorevole - indica l'insieme di conoscenze, abilità relazionali e competenze che permettono a un singolo o a un gruppo di porsi obiettivi e di elaborare strategie per conseguirli utilizzando le risorse esistenti. Indica sia un concetto sia un processo che permette di raggiungere gli obiettivi, e si basa su due elementi principali: la sensazione di poter compiere azioni efficaci per il raggiungimento di un obiettivo, e il controllo, la capacità di percepire l'influenza delle proprie azioni sugli eventi."
In soldoni si tratta della banale “autostima” psicologica che, attraverso un complicato giro di parole, può diventare al tempo stesso obiettivo personale, programma politico, sistema di organizzazione economica, nonché progetto sociale ed educativo su vasta scala; insomma, un nuovo umanesimo su basi psicologiche, con l'intima finalità di rifondare politicamente i rapporti sociali.
Quando sentiamo parlare di empowerment femminile stiamo, quindi, parlando dell’aiutino pubblico che il mondo femminile richiede (anzi, pretende come un diritto codificato) per credere un po' di più in sé stesso e sentirsi capace (intelligente...?).
Leggiamo ancora dalla nostra fonte che “nel termine stesso empowerment è nascosta una parola ingombrante: potere (power). Non è il potere che siamo abituati a conoscere. Piuttosto che all'accezione comune di avere «potere su» qualcosa o qualcuno, bisogna pensare a un potere inteso come capacità personale, forza, energia, autopotenziamento, incremento delle proprie possibilità, il «potere di» fare, di essere. Questo «potere di» è contemporaneamente improntato all'emancipazione dell'altro, alla solidarietà e all'interdipendenza con l'altro, è immediatamente un «potere con» l'altro.”
Tutto ciò dovrebbe significare, se stiamo alla logica di questo ragionamento, che le donne che aspirano ad un autentico empowerment personale e sociale dovrebbero abbandonare la pretesa di “avere potere su qualcosa o su qualcuno” - nei termini del potere sessuale di cui si è già detto - e dovrebbero, invece, dedicarsi a quell’incremento delle proprie capacità e possibilità personali, a quel potere di fare e di essere sul piano sociale.
Ora, evidenziamo subito che di quella voglia femminile di “poter fare e di poter essere” non se ne scorge traccia in uno spettro di attività umane particolarmente ampio: cosa ne è stato, semmai siano esistite, della prima donna meccanico e della prima donna elettricista? della prima donna muratore o dell’idraulica? della gommista o della gruista? e quand’è che sentiremo parlare della prima donna che avrà ideato un nuovo canale di Suez o una nuova torre Eiffel? una nuova Divina Commedia o un nuovo paradigma scientifico?
Insomma, assodato che le prime della classe rappresentano - sempre e comunque e per definizione - delle eccezioni, chi ci sta dietro a tutte queste prime donne in ogni campo? Quelle belle o quelle intelligenti? verso cosa ci conduce questo luminoso progresso? verso ciglia perfette o verso soluzioni matematiche? verso depilazioni da dea o verso rivoluzioni scientifiche? verso labbra irresistibili o verso geniacce dell’informatica? verso vitesnelle o verso cervelli graziosamente geniali?

In realtà, la mistica dell’empowerment sembra concepita in misura fondamentale per disinnescare il rischio connesso ad una selezione dei migliori su base meritocratica; ossia, quel rischio selettivo connesso al prodursi spontaneo di gerarchie di valore umano in funzione delle capacità effettive manifestate dai singoli individui.

La trasformazione dei rapporti sociali ed economici in senso solidaristico e cooperativo, che ne vorrebbe essere lo scopo finale, dovrebbe infatti realizzarsi a discapito delle dinamiche competitive e concorrenziali che, per definizione, prevedono dei migliori e dei peggiori, dei capaci e dei meno capaci, dei più intelligenti e dei meno intelligenti.
L’empowerment politico, in buona sostanza, mira alla edificazione di una società inclusiva e rassicurante, mentre le concezioni concorrenziali – nella prospettiva dell’individualismo liberale classico - producono, per intima natura, esclusioni sociali e alti livelli di competizione per un medesimo obiettivo sociale.
gianna-nannini-vanity-fairLa mistica dell’empowerment femminile, in altre parole, non dà alcuna possibilità di soluzione al nostro interrogativo iniziale – belle o intelligenti – in quanto vorrebbe prescrivere all’origine ogni tentativo di misurazione effettiva delle capacità femminili, mediante agevolazioni e facilitazioni mirate a promuoverne l’autostima, sia sul piano individuale che su quello generale.
Donne perdenti in un confronto aperto – per così dire – non rientrano nei piani politici generali e non sono previste come possibilità.
Inoltre, dovendosi assegnare ad ogni donna un valore intellettuale più o meno prefissato, questo il paradosso, non residua altra possibilità - per emergere socialmente da quel tutto indistinto a cui l’empowerment ha ridotto il mondo femminile - che quella di affidarsi come prima anzi, assai più di quanto avvenisse in passato, alle caratteristiche esteriori della bellezza, del valore sessuale e del sex appeal; questo è un valore quantomeno misurabile e riconosciuto spontaneamente senza mediazioni politiche.
Con ciò, torniamo a passi precipitosi verso quei principi astratti della società non sessista a cui pure vogliamo dare il massimo credito ma che, per essere compiutamente realizzati, prevedono l’adozione di criteri sessisti per la selezione delle classi dirigenti; la contraddizione culturale e politica più sgangherata del nostro tempo.


Chi nasce bella non nasce povera
 

Per quanto stereotipata, la migliore conclusione possibile dopo tanto disquisire la ritroviamo bell'e pronta nella saggezza dei nostri avi, i quali, secoli addietro, avevano già raggiunto il busillis della questione con il proverbio popolare "chi nasce bella non nasce povera".
elisabetta canalisProbabilmente Paolo Guzzanti esagera quando afferma che la selezione delle nostre classi dirigenti sia oggi fondata sul sex appeal; semmai sembra più equilibrato affermare che questa selezione si fonda, in gran parte, sulla popolarità dei personaggi pubblici e la popolarità si conquista anche, massimamente sul versante femminile, coltivando il sex appeal. Allo stesso tempo, appare quantomeno singolare che Massimo Fini - proprio lui che è l'ideatore del noto neologismo "figapower" - sottovaluti contraddittoriamente un fenomeno che sembra confermare l'originalità delle sue stesse tesi.
Sta di fatto che se dopo tante considerazioni ci poniamo nuovamente l'interrogativo - belle o intelligenti? - troviamo ancora moltissime difficoltà a riconoscere nei successi femminili il primato esclusivo del secondo valore sul primo.
Naturalmente non ci sfugge affatto che questa potrebbe essere considerata una falsa antinomia; un valore non esclude l'altro e non deve necessariamente porsi nei termini oppositivi o/o ma nella più elementare sequenza logica e/e; tanto/quanto.
C'è, però, un elemento che dovrebbe essere tenuto in ferma considerazione quando si ragiona di queste cose ed è il fatto che tanto la bellezza quanto l'intelligenza sono, sì, caratteristiche innate della persona; intelligenti si nasce, non si diventa e lo stesso può dirsi (chirurgia plastica a parte) per la bellezza.
Ma sono anche qualità che devono essere coltivate perché rimangano tali e non appassiscano disperdendosi nell'apatia personale.
Da questo punto di vista possiamo dare per assodato che il mondo femminile continuerà a rimanere sistematicamente alla larga da tutte quelle attività che possano compromettere, per il rapporto immediato e diretto con la materia bruta, la conservazione della bellezza e la purezza adamantina della carnagione.
Il valore estetico continua ad essere concepito, con buona pace dei rifondatori dei rapporti sociali, come un patrimonio capace di erogare generosissimi dividendi per chi lo possiede.
Allo stesso modo, possiamo dare per scontato che si terrà a debita distanza, nella maggior parte dei casi, anche da tutti quegli impegni che possano compromettere la stabile continuità della vita di relazione alla quale si rivolge per naturale vocazione la donna media.
Per tutti questi elementari motivi dobbiamo arrivare alla definitiva conclusione che, se Dio è donna - come vorrebbe Gianna Nannini -, deve avere sicuramente affidato la Creazione dell'universo ad una ditta specializzata; non fosse mai le si potesse spezzare un'unghia...