Alla luce (o all’ombra…!) di questa paradigmatica citazione di programma, sembra persino superfluo rilevare che femminismo ed ambientalismo, ciascuno nelle rispettive declinazioni e gradazioni di toni ed accenti, originano dal medesimo ceppo teorico di critica radicale al sistema (o modello di sviluppo) ed al concetto di civiltà come consegnatoci dalla storia degli ultimi tre secoli.
Ancora, allo stesso riguardo: “Marx asseriva – scrive Mario Spinetti, interprete della c.d. ‘ecologia profonda’, nel suo libro “L’uomo naturale”, 2008 – che lo sfruttamento della natura è una delle contraddizioni del capitalismo; più in generale direi che la distruzione della natura è il risultato della società umana “civilizzata”! L’uomo è capace di rovinare tutto ciò che tocca perché in fondo la “civiltà” ha in sé il germe della propria distruzione e della distruzione del mondo.” (pag. 22)
In realtà, femminismo ed ambientalismo presentano assai più di questa origine comune ed il loro rapporto - su cui manca la necessaria attenzione anche da parte di chi si occupa stabilmente di questione maschile - può essere osservato sotto diversi aspetti. Si ritiene utile farne un breve accenno generale, anche per promuovere sin dove possibile riflessioni e ricerche più ampie, con l’ovvia postilla che la complessità della materia non può essere esaurita nel breve spazio di un singolo articolo e che questa prima, iniziale riflessione sul tema sarà seguita, nel tempo, da maggiori approfondimenti.
Va premesso che il termine “ecofemminismo” nasce nel lontano 1974, ad opera della scrittrice francese Francoise d’Eaubonne che, con il libro “Le féminisme ou la mort” coniuga i due piani di interpretazione sociale avviando una continuità di scopi tuttora perdurante.
Per venire al presente, il dato più esteriore, più esterno, per così dire, tra i numerosi punti di contatto delle due espressioni politiche in argomento, è dato dalla loro identica capacità di “sfondamento” che i rispettivi messaggi politici hanno avuto sull’opinione pubblica, dagli anni settanta ad oggi e, conseguenzialmente, anche sulle istituzioni nazionali ed internazionali, che della pubblica opinione sono sostanziali e coerenti proiezioni.
Basti pensare al dato comune per il quale tutela ambientale e promozione della donna fanno ormai parte dello scenario e del frasario comune quotidiano, in qualità di luoghi comuni indiscussi, entrando addirittura tra i goals (obiettivi di sviluppo del millennio) del Millennium Project dell’ONU (obiettivi n. 3 – promuovere l’uguaglianza fra i sessi – e n. 7 – assicurare la sostenibilità ambientale) da realizzarsi entro il 2015 a livello planetario.
Laddove si consideri che le due istanze sociopolitiche – femminismo ed ambientalismo – erano tra i punti qualificanti del programma elettorale di Rifondazione comunista, nelle elezioni del 2008, abbiamo l’esatta dimensione dello slittamento verso sinistra che la nostra cultura occidentale ha subito, con una sorta di rivoluzione strisciante e silenziosa, pur senza attribuire alcun potere politico effettivo a quello schieramento.
Non altrettanto può dirsi, però, per il potere mediatico dove, infatti, troviamo un ulteriore punto di contatto tra femminismo ed ambientalismo; entrambi si sono avvalsi e si avvalgono, ordinariamente, della manipolazione dei dati riguardanti i fenomeni di rispettivo interesse, come dimostra l’allarmismo ingiustificato e culturalmente inquinante degli ecocatastrofisti, speculare e simmetrico all’allarmismo esacerbato e grottesco in tema di “violenza sulle donne” che imperversa, ormai da oltre un decennio, sulla scena della comunicazione sociale.
Entrambi fomentano l'irrazionale timore di un'insicurezza crescente, di disastri annunciati, di ferite inferte alla sicurezza comune ed all'innocenza originaria della natura (concepita sempre in una dimensione astrattamente femminile) per brama di un dominio che trova declinazione sempre al maschile.
Per ciascuna di queste fenomenologie – global warming e violenza maschile – la strategia comunicativa adottata dalle militanze è quella contemplata dall’ormai risalente ma sempre valido principio enunciato, nelle scienze sociali, dal c.d. “teorema di Thomas”, secondo il quale non è importante se una definizione sociale sia vera; è sufficiente che venga ritenuta diffusamente vera ed essa sarà comunque vera nelle sue conseguenze.
Analogo concetto sarebbe stato ripreso da Goebbels, ministro della propaganda del nazismo hitleriano, con la nota massima “ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”.
Quindi, oltre alla medesima radice ideologica, femminismo ed ambientalismo condividono la comune strategia per egemonizzare la cultura accademica, formativa e mediatica, condividono il medesimo successo nell’opinione pubblica e la medesima assenza di approcci critici alle rispettive teorie; da qui, la medesima trasversalità nei diversi orientamenti politici, con la sola differenziazione data dalla maggiore o minore moderazione con cui i diversi gruppi politici aderiscono supinamente alle istanze in questione.
Ma c’è dell’altro. Oltre ad una forte valenza simbolica che legherebbe terra e femminile, esaminata anche da Claudio Risé con la metafora della “Grande Madre” e che noi conosciamo, a livello di bassa cultura, con le note metafore di Gea, Gaia ed altre amenità in tardo stile new age; oltre all’uso inquietante del concetto di “negazionismo” per disinnescare ogni potenziale obiezione ai propri dogmi (si legga, al riguardo l’interessante articolo di G. Masini) oltre tutto questo, dicevamo, c'è il fulcro dell'alleanza teorica che fa del femminismo e dell'ambientalismo due fronti convergenti verso un obiettivo comune: l'antinatalismo.
Rino Camilleri, in un articolo del 20 aprile scorso pubblicato sul Giornale, spiega con puntuale ricostruzione storica la genesi di un convincimento diffuso - la bomba demografica - che, oltre a legittimare le smaniose bizzarrie ambientaliste, avrebbe offerto al femminismo l'opportunità di centrare i propri obiettivi di fuga dal "destino biologico" della maternità attraverso gli strumenti teorici del "controllo delle nascite" e della "salute riproduttiva".
Scrive Camilleri: "Il principio ispiratore della famosa Agenda 21 (approvata al Summit della Terra, la conferenza dell’Onu sull’ambiente a Rio de Janeiro nel 1992) e del recente Vertice di Copenhagen è sempre lo stesso: limitare «l’impatto» della presenza umana. Cioè: freno allo sviluppo nei paesi ricchi e drastica riduzione delle nascite in quelli poveri."
L'abbraccio ideologico tra femminismo ed ambientalismo si snoda attraverso questi punti, sommariamente delineati come premessa propedeutica verso ulteriori considerazioni ed approfondimenti; al momento c'è già sin troppa materia affastellata in modo sintetico, mentre riteniamo utile un'analisi più dettagliata e progressiva da svolgersi nel tempo.
Per amore di sintesi, sembra opportuno, nel frattempo, suggerire la lettura dei testi linkati - ciascuno dei quali costituisce già un profilo di approfondimento della questione, nei rispettivi versanti - quanto mai utili alla comprensione dell'argomento.
Sembra opportuno, infine, per dare il segno della questione, concludere questo primo passo nella tematica citando le parole bellicose ricavate dal sito Radiodelledonne, nella loro originale e militante irrazionalità:
“Noi donne, in tutta la nostra vibrante e favolosa diversità, siamo testimoni della crescita delle aggressioni contro lo spirito, la mente e il corpo umano, e la continua invasione ed assalto contro la terra e le sue diverse specie. E siamo infuriate.”