Il libro, al di là degli scopi scientifici perseguiti, rappresenta un nuovo tentativo di portare l’attenzione pubblica - sinora pressoché inesistente - sulla clamorosa ingiustizia patita dal nostro connazionale Carlo Parlanti il quale, sperimentando sulla propria pelle le sofferenze che in letteratura sono incarnate dalla figura vendicativa di Edmond Dantés, è ristretto ormai da anni nella prigione americana di Avenal (California) a causa di una diffamante e calunniatoria azione penale intentata a suo danno dalla ex convivente americana, Rebecca White.
L’accusa che la White ha fatto cadere sulla testa di Carlo è quella della “violenza sessuale e domestica”, aggravata dal sequestro di persona; sulla base di questa denuncia è stato spiccato un mandato di cattura internazionale che ha raggiunto Carlo in Germania dove, nel luglio del 2004, è stato fermato ai controlli dell’aeroporto di Düsseldorf per essere, dopo circa un anno, estradato negli USA.
Per tali accuse, totalmente prive di riscontri investigativi o della minima evidenza probatoria persino nella fase processuale, Carlo è stato condannato alla pena di nove anni di reclusione; pena che, com’è facilmente intuibile, Carlo sta scontando in una difficile condizione di sconforto che ne va minando, con il passare del tempo, anche la salute fisica.
E’ stata sufficiente la parola di una donna – donna, peraltro, riconosciuta come psichicamente labile e non nuova ad iniziative del genere – per condannare, pur in presenza delle garanzie processuali e dei sostanziali diritti di difesa in giudizio, Carlo Parlanti, il quale si professa innocente da anni nell’indifferenza delle istituzioni nazionali. Inoltre - a quanto ne so e spero che le cose siano nel frattempo cambiate - l’eventuale riapertura del processo (il c.d. habeas corpus, nell’ordinamento americano) comporterebbe un esborso in spese legali talmente alto da non poter essere sostenuto da chi - come i familiari, gli amici e, principalmente, la sua compagna Katia Anedda - si adopera da anni per la sua causa.
Personalmente non ho ancora avuto modo di acquistare il libro, ampi stralci del quale sono leggibili su google libri a questo indirizzo; si tratta, tuttavia, della parte propriamente tecnica, dalla lettura della quale, per chi non fosse al corrente dello svolgersi dei fatti, si può conoscere nel dettaglio la situazione giudiziaria, le manchevolezze processuali e l’assoluta inconsistenza fattuale del quadro accusatorio sostenuto da Rebecca White.
Non è, tuttavia, leggibile – per evidenti diritti di copyright – la seconda parte del libro, che contiene la polpa più specificamente politica della questione e le considerazioni generali che Mastronardi svolge, a partire dal caso specifico, sul clima mediatico che giustificherebbe l’assurdo unilateralismo giudiziario nei casi di “violenza sessuale” in America e sui moventi strumentali in ragione dei quali un numero sempre crescente di donne – negli USA, in particolare, ma anche da noi in forma analoga – si serve di false accuse di stupro per ricavarne benefici giudiziari, economici o, addirittura, semplicemente psicologici o strumentali.
Andrebbe, infatti, anche considerato – dato tutt’altro che secondario – che l’accusatrice avrebbe ottenuto, in seguito alla condanna di Carlo, notevoli vantaggi economici compreso, a quanto consta, una sorta di vitalizio che l’assistenza americana pare assicuri alle vittime di violenze sessuali; da noi casi analoghi, come abbiamo già visto nell’articolo dedicato a Matteo Sereni, riguardano ormai l’86% dei casi di separazione, che sfociano in strumentali accuse di abusi denunciati dalle donne, il 95% delle quali si rivelano, ad ulteriori approfondimenti, infondate o totalmente inventate.
Prima ancora della pubblicazione, ho ricevuto da Carlo – con il quale sono rimasto in contatto epistolare e, per un periodo, anche telefonico – l’accorata richiesta di promuovere il libro (per quello che rientra nelle mie ridotte possibilità informative), di divulgarne l’esistenza ed i temi, di farlo conoscere al più alto numero di persone, di far circolare la notizia il più possibile, allo scopo di contribuire a far emergere il suo caso, in modo che venga finalmente posto sotto i riflettori dei media e mobiliti, come sinora non è mai successo, l’opinione pubblica italiana in suo favore.
E’ quello che sto tentando di fare con questo articolo rendendomi portavoce, nel mio piccolo, dell’appello di Carlo, il quale ripone molte speranze in questa nuova iniziativa ed io con lui; per cui invito chiunque legga queste pagine, anche solo occasionalmente, ad acquistare il libro di Mastronardi, a promuoverne la lettura, ad interessarsi della vicenda di Carlo e a renderla nota, ciascuno con i propri mezzi e possibilità, per contribuire al difficile scopo di restituire a Carlo libertà, giustizia e dignità.
E, se dovessi aggiungere una speranza personale, anche per vedere la White condannata come merita per la barbara ed infame “violenza” perpetrata contro quest’uomo; ma sono quasi certo che questa speranza rimarrà insoddisfatta, dato il clima generale su certe questioni.
Peraltro, prima ancora di acquistare il libro e prendere visione integrale dei suoi contenuti più generali – il minimo sindacale per chi, come me, si occupa di questione maschile e ne ha fatto motivo di studio – intendo proporre alcune considerazioni che fanno, a mio avviso, del caso Carlo Parlanti un caso simbolico in quanto espressione concreta e tangibile, pur nella sua singolarità apparente, di una situazione più ampia e generalizzata che ci riguarda tutti.
Ritengo, infatti, che non si possa comprendere appieno, nel suo significato, il caso Carlo Parlanti laddove lo si volesse derubricare a mero errore giudiziario, senza prendere in considerazione l’atmosfera culturale, l’insistenza mediatica e le connesse politiche in materia di violenza sessuale che caratterizzano, ormai da diversi anni, la vita pubblica del mondo occidentale e da cui il caso Parlanti scaturisce come un dato sostanzialmente inevitabile; insomma, è successo a lui ma potrebbe succedere a ciascuno di noi e Carlo non è certamente il solo a subire questo tipo di violenza morale e personale.
Sulla spinta delle lobbie femministe che, come avvenuto inizialmente negli USA, hanno fatto del tema della vittimologia femminile e della violenza maschile un presidio politico di asserito “progresso” e di asserita “civiltà”, di fatto incontrastato, la prassi giudiziaria prevalente nei paesi occidentali, compreso il nostro, attribuisce alla denuncia ed alla deposizione della vittima (vera o presunta) di violenze sessuali un valore probatorio sostanziale, secondo il noto e immorale principio dell’inversione dell’onere della prova; ossia, la presunzione di colpevolezza dell’accusato prende il posto della liberale e civilissima presunzione di innocenza sino all’ultimo grado di giudizio su cui si basa, per ogni altro tipo di reato penale, il fondamentale assetto giuridico dei paesi avanzati che, proprio per questo motivo, siamo soliti definire civili e progrediti.
Si provi ad immaginare cosa potrebbe avvenire se un principio del genere fosse adottato per i furti o per gli omicidi; chiunque potrebbe accusare, per i motivi più insondabili ed abietti, qualcun altro di avere commesso un delitto e, senza portare alcuna prova reale a carico dell’accusato, spetterebbe a quest’ultimo trovare prove a proprio discarico. In assenza di queste “prove di innocenza”, magari per la sola mancanza di un alibi certo e documentato, l’accusa sarebbe da ritenersi verosimile e fondata. Definire un simile principio un’aberrazione appare, onestamente, il minimo; eppure questo principio viene regolarmente praticato nei tribunali americani, italiani ed occidentali in genere, benché con gradazioni e radicalismi diversi da giudizio a giudizio e da tribunale a tribunale, ma solo in materia di violenza sessuale.
La calunnia |
La vita di Carlo Parlanti è, in sostanza, stata violentata dalla macchina politica e propagandistica messa in moto negli USA dalle lobbie femministe, di cui ha scritto il fondatore della questione maschile – Warrenn Farrell – nel suo libro “Il mito del potere maschile”, il quale già nei primi anni novanta descriveva la “politica dello stupro” in atto in America come politica intimidatoria verso il mondo maschile, realizzata attraverso un “terrorismo giudiziario” che divide pregiudizialmente il mondo in due categorie; uomini e donne, gli uni sempre colpevoli, per definizione ideologica, le altre sempre innocenti, per definizione ideologica.
Questa è la convinzione di chi scrive in merito alla condizione di Carlo Parlanti, il quale è entrato nel tritacarne politico della speciale tutela al mondo femminile realizzata attraverso lo speciale sacrificio di quello maschile; ma solo dopo aver letto il libro nella sua interezza si potrà capire se il lavoro di Mastronardi prenda o meno in considerazione questa ipotesi esplicativa, così estranea alla correttezza politica tanto in voga.
Mi auguro di poter scrivere a Carlo che le cose stanno effettivamente così e che, soprattutto, la diffusione del libro, di queste idee e la conoscenza di queste aberrazioni politiche e giuridiche possano fare della sua drammatica storia il simbolo di un rinnovamento sociale, culturale e politico nel quale a nessuno e a nessuna venga più conferita, per via legislativa o giudiziaria, libertà di calunnia e che nessuno e nessuna venga mai più definito colpevole o innocente con un atto pregiudiziale.
Solo così la sua prigionia non sarà stata solo un’inutile e personale sofferenza senza significato.