Il riferimento è diretto ai contenuti del nostro articolo fisso “La questione maschile come questione politica” nel quale ho tentato di argomentare i motivi essenziali di un’incompatibilità di fondo tra pensiero di sinistra (rectius: delle sinistre) e ragioni maschili, sulla base della fondamentale considerazione – detta in estrema sintesi – che la piattaforma ideologica sulla quale poggiano le più diverse istanze di quel versante politico consiste nella pretesa (per dirla con le recenti riflessioni del Cardinale Schooyans) di “sostituirsi alla religione” nel promuovere un’etica con pretese universalistiche, laicizzata e laicista, che assuma il governo delle coscienze individuali.
Culturalismo, insomma, per il quale compito della politica sarebbe quello di educare/costruire l’individuo, dirigendolo e manovrandolo verso un “progresso” pianificato da pochi ma interpretato, come in un’ambiziosa commedia profana, da tutti, sulla base di un canovaccio scritto da qualche intellettuale convinto di possedere verità rivelate; un esito per il quale, come ho già scritto, non sarebbe più l’individuo a fare la società ma la società (una sola parte politica) a fare l’individuo, conformandolo a rassicuranti esigenze etero-indotte da un matrix nel quale valori come libertà e autenticità verrebbero vissuti quali effetti illusionistici, in funzione del condizionamento psichico che la “political correctness” ha già avviato.
Educare ai sentimenti, alla raccolta differenziata, alla pace, alla solidarietà, alla diversità, alla sessualità matura, alla sostenibilità ambientale, al principio dell'egualitarismo sociale ed alla conseguente intercambiabilità, nei diversi ruoli, di donne e uomini; ecco cosa si propongono, operativamente, le politiche programmatiche delle sinistre, elevando i propri valori di riferimento a quell’assolutezza morale che rappresenta la negazione stessa del concetto di politica (terreno di scontro degli interessi particolari e di valori in reciproca contrapposizione).
Come se, in definitiva, “educare” qualcuno ai propri valori abbia smesso di chiamarsi indottrinamento e rappresenti l’ultima luminosa frontiera del progresso; come se il novecento fosse passato invano e i nuovi indottrinamenti risulterebbero legittimi per il solo fatto di essere tinteggiati di rosa e di recitare rassicuranti parole d’amore.
Considerazioni del tutto analoghe le avevo già svolte nel precedente “Dibattiti di scopo”, alle quali oggi si possono aggiungere le ulteriori riflessioni che il recente (?) contributo di Rino Della Vecchia rende possibili.
Egli dice che la QM non può essere di destra per una “ragione semplice ed elegante: perché si tratta di una questione di giustizia” e la giustizia non fa parte delle preoccupazioni sociali della destra; chi sta a destra starebbe, in sostanza, sempre dalla parte del “più forte” e, nella congiuntura attuale, il più forte sarebbe il mondo femminile (economicamente, politicamente o, appunto, moralmente?).
Ci sono numerose obiezioni che possono essere aggiunte alle prime iniziali perplessità messe tra parentesi, a cominciare dalla presa d’atto che, paradossalmente, la questione femminile contemporanea proclama, identicamente anche se con risonanza pubblica ben più ampia e diffusiva, la stessa, identica sete di "giustizia"; per passare alla considerazione che, nonostante tutto, le leve del potere sociale continuano ad essere, comunque, ancora in mani maschili; arrivando, ancora, alla considerazione che definire gli uomini un popolo di vinti appare un eccesso di vittimismo, quantomeno agli occhi di chi scrive, del tutto analogo al sentimento di perpetua discriminazione che alligna, fomentata ad arte, nella testa di troppe donne.
Tutta la serie di rilievi che possono essere mossi alla tesi di Rino Della Vecchia convergono, sostanzialmente, in un solo punto di raccolta; al fatto, cioè, che il concetto di “giustizia” al quale lui si riferisce sembra dotato di un carattere di assolutezza universale per il quale non c’è chi non possa convenire del contrario.
Come se, anche nel suo caso, ciò che la QM dovrebbe affermare non fosse la prospettiva di una parte ma un principio dotato di validità universale indiscutibile; come se “Giustizia” esistesse indipendentemente dalla definizione, sempre in movimento, che ne danno gli attori sociali in ragione dei propri particolari interessi.
Sembra essere implicita, nell'appellarsi ad un ideale astratto di giustizia, l'idea di un'ineluttabilità del "progresso" che avanza come un realizzarsi hegeliano dello Spirito nella Storia; un passaggio obbligato verso quello Stato etico nel quale la Giustizia sarà ricomposta, sanata e definitivamente realizzata dall'unanimità di consensi conclusivamente raggiunta.
L'idea un pò ingenua - mi perdonerà l'Autore - che la storia si muova per riconoscimenti universali e non, piuttosto, per aggiustamenti reciproci di interessi in competizione, sempre destinati a nuovi squilibri, sembra obiettivamente contestabile.
Ma, date sin qui le argomentazioni a sfavore della sinistra, rimane da precisare quali sarebbero le argomentazioni a favore della destra; per quale motivo un pensiero politico che fa del pragmatismo, del calcolo razionale e dell'adesione ai dati di fatto concreti il proprio habitat naturale dovrebbe farsi carico della questione maschile.
Infatti, non succede.
Non succede, intanto, perché il problema andrebbe esattamente rovesciato: non è il pensiero di destra che deve farsi carico della QM ma è la QM che deve (dovrebbe) riconoscere la propria agibilità politica nella filosofia sociale di questo schieramento e muoversi nel suo ambito.
Fatto questo, spetterebbe, comunque, a noi uomini, singolarmente presi o come espressione di movimenti d'opinione più ampi, il compito di dare una rappresentazione delle nostre istanze che possa entrare, a buon diritto, nel dibattito pubblico.
E perché la filosofia politica delle destre dovrebbe risultare un luogo più agibile per le nostre ragioni?
Per il semplice motivo che non rientra tra le ambizioni del liberale o del conservatore fare opere di pianificazione morale della società; tanto l'uno quanto l'altro concepiscono la politica come terreno del conflitto di interessi, non hanno valori universali da affermare con l'azione politica e lasciano alle misericordiose mani della Chiesa il compito di stabilire, per le coscienze individuali, non collettive, dove sia il bene e dove il male.
Andrebbe, inoltre, precisato che destra è definizione generica, all'interno della quale sembrano trovare spazio tanto il liberalismo politico quanto il socialismo nazionalista delle estreme (ossia, una contraddizione in termini), tanto il pensiero conservatore quanto il modernismo di chi vorrebbe oggi "ammodernare" l'Italia (anche se non si capisce che significa: più elettrodomestici? più inglese parlato? più sex and the city? più laicismo? più cosa?).
La destra a cui faccio riferimento io è l'unione ideale del pensiero conservatore (in Italia tradotto, erroneamente, come difesa dello status quo) e pensiero liberale; un soggetto politico appena accennato, qui da noi, il cui denominatore comune è dato, in ultima analisi, dalla contrarietà verso ogni forma di "paternalismo di Stato" che stabilisca speciali tutele dimenticando meriti, diseguaglianze di fatto e libertà d'espressione.
L'avversione a catalogare gli esseri umani in buoni e cattivi in forma pregiudiziale; l'attitudine a preservare la sfera privata dalle intromissioni delle pubbliche autorità; la tendenza a lasciar fare il cittadino, senza delimitazioni preventive che ne orientino il corso in qualche direzione collettiva.
Diciamo pure che l'alveo delle culture di destra, quelle sane e non macchiate di statalismo, sono l'unico terreno nel quale i bisogni, le esigenze di parte, gli interessi concreti degli uomini - ai quali ultimi spetta il compito di dargli adeguata rappresentanza - possono trovare accoglienza, per la semplice ragione che, da quel versante, si parla di questioni concrete, misurabili, monetizzabili e razionalizzabili.
In questi giorni ho ripreso il libro di Mansfield (Virilità) per andare alla ricerca di quella definizione del conservatore che, peraltro, non ho ancora ritrovato, persa in chissà quale capitolo; vado a memoria - il conservatore non è quello che si oppone al cambiamento sociale ma è quello che, di fronte ad un cambiamento sociale sgradito, si alza e dice "no, basta, in questa direzione non voglio andare". Sembra il contrario dell'ideale rivoluzionario mentre, in realtà, ha in sé la migliore capacità di autodeterminazione di questo mondo; quella di piegare la storia alle proprie esigenze e non di piegarsi alle esigenze di una Storia che sembra avanzare come un rullo compressore senza freni.
Ecco, mi sembra che quando parliamo di QM stiamo parlando esattamente di questa esigenza di riappropriazione del senso della storia che altri/altre hanno mistificato ai nostri danni.
Questo, per sommi ed incompleti capi, data la carenza di tempo utile ad un discorso così complesso, la ragione per la quale un versante politico è - a me sembra - più idoneo dell'altro a far crescere certe idee ed un terreno più fertile per il loro sviluppo.
Epilogo
Ho riflettuto prima di dare una conclusione a questo strano contraltare da sedi lontane e diverse, titolandola "epilogo".
Epilogo è un termine che evoca una fine, una conclusione o, per riferirsi al contesto nel quale ci si muove, il concretizzarsi di un bivio nel quale scegliere equivale ad imboccare una strada per perdere l'altra.
Pensare di percorrerle entrambe allo stesso tempo è, come si potrà intuire, illusorio.
Chi scrive ha già scelto, da tempo, senza ignorare il paradosso personale per il quale i suoi primi passi nella QM provenivano dalla direzione opposta, da sinistra; è stato proprio attraverso lo studio della QM, l'approfondimento teorico e la presa di coscienza del suo significato che sono crollate quelle lenti ideologiche che una formazione scolastica ed universitaria, unilaterale e condizionante, gli avevano imposto. L'indottrinamento ha agito ed agisce, anche e soprattutto, nelle sedi formative del nostro Paese, rimanendo a tutt'oggi saldamente nelle mani di una colorazione politica e della sua ideologia.
Qui, in questo sito, le ragioni maschili, declinate al plurale come al plurale sono i valori in gioco in una materia così complessa, troveranno sempre spazio, ascolto e pari dignità; nessuno, qui, chiede di sottoscrivere contratti per adesione, con tanto di clausole vessatorie in caso di disaccordo.
Spiace solo constatare che le risorse umane e intellettuali che già ci sarebbero per sviluppi ben più ampi di ragioni, ragionamenti e riflessioni comuni vadano disperse in mille, inutili rivoli diversi.
C'è, infine, chi parla di rassegnazione.
Io non mi rassegno e continuo, nonostante tutto, la mia piccola battaglia civile.
Giovan Battista Orsini