Forti e deboli

In un recente commento, Diana ha opportunamente osservato che “…è, nella sostanza, inverosimile condividere le ragioni di un uomo invece che quelle di una donna, per il semplice fatto che nella nostra società chi viene considerato debole ha il diritto morale di ‘scavalcare’ quello che è più forte“.
L’osservazione, pur nella sua semplicità, fotografa con efficacia l’asimmetria con la quale si antepongono, ordinariamente, le ragioni morali (e giuridiche) delle donne a quelle degli uomini; un’asimmetria giustificata dalla diffusa convinzione che certi diritti di precedenza e preferenza vadano a compensare un gap di potere sociale che, ancora oggi, vedrebbe il mondo femminile in una condizione subordinata e debole rispetto a quella maschile.
Chi sarebbe in grado di sostenere, infatti, che le donne sono mediamente più forti degli uomini nel contesto sociale o, più semplicemente, dispongono della medesima forza?
La sola ipotesi farebbe insorgere all’opposizione stuoli di auto-eletti “difensori civici”, pronti a brandire cifre inverosimili intorno alla violenza subita dalle donne e ad evocare complotti “maschilisti” finalizzati ad escludere la presenza femminile dai luoghi decisionali e di potere.
Certo, si potrebbe osservare che, secondo la vulgata dominante dei difensori civici femminili, il “potere” di un individuo (non di un gruppo o di una comunità di scopo, ma di ciascun individuo) dovrebbe risiedere, nell’anno di grazia 2010, nella sua capacità di ricorrere all'uso della forza o di occupare, in modo prepotente e fraudolento, posizioni di comando.
E già in questa preliminare annotazione è contenuta una dissonanza cognitiva con il presente che non necessita di essere spiegata.
Si potrebbe anche rammentare che, per i costumi e le consuetudini odierni, una delle forme di potere più “pagante” in termini di valore sociale è dato dal potere di richiamo sessuale; ed anche in questo caso, del vasto mondo della seduzione erotica sappiamo chi detenga lo scettro senza bisogno di ulteriori approfondimenti.
Ma la dissonanza cognitiva si amplia a dismisura sino a diventare stridente quando ci si imbatte in notizie di cronaca come quella che, apparsa alcuni giorni fa sul Corriere, riportava il suicidio di un maturo professore di Sestri Ponente, spinto all’estremo, disperato gesto a causa delle accuse che una sua studentessa sedicenne gli aveva mosso denunciandolo ai carabinieri: molestie sessuali.
Le ultime frasi lasciate scritte dal professore, prima di aprire la finestra e gettarsi nel vuoto: ”Sono innocente, sono innocente, mi hanno denunciato, ho dovuto trovare un avvocato, ma io non ho fatto nulla”.

Ora, quello che verrebbe da chiedersi è: come mai un uomo che avrebbe tanto potere - in quanto uomo – e che, in ogni caso, ne dovrebbe avere molto più di una studentessa sedicenne ha avvertito una condizione di impotenza tale da ricorrere al suicidio?
Chi è il “forte”, chi il “debole” e da cosa nascono, nel mondo reale, la forza e la debolezza?