Il femminicidio è una scellerata bugia






Riprendo le pubblicazioni dopo una lunga pausa di riflessione servita a riordinare le idee, a riprendere fiato per un nuovo slancio ma anche, soprattutto, ad andare alla ricerca delle motivazioni per continuare a battagliare una guerra apparentemente già persa.
Una guerra che, peraltro, si va tingendo di nuove colorazioni oscure, di nuovi inganni mediatici, di una  rinnovata e ancor più virulenta campagna di demonizzazione del mondo maschile.
Ultimo capitolo e nuovo fronte: il femminicidio.
Già a pronunciarla una parola simile fa un effetto surreale.
Intuitivamente uno pensa che il femminicidio sia una cosa tipo morìa delle vacche; ti affacci alla finestra e vedi cumuli di donne ammazzate all'angolo di strada, riverse sui marciapiedi, sanguinanti, dolenti, terrorizzate, in fuga dal delirio del boia di turno.
E già uno scenario simile, mostruoso come gli incubi di uno psicopatico, misura la distanza abissale che c'è tra una certa farneticante e parossistica "narrazione" della realtà e la realtà stessa.
Basterebbe guardarsi intorno per fare questa elementare misurazione a spanne.
Poi, qualcuno - magari la persona comune a cui questi input sono destinati, per fomentare scientificamente l'odio sessuale - potrebbe pensare: «vabbé, forse intendono dire che c'è stata un'impennata negli omicidi di donne»; ma neanche questo è lontanamente vero, dati alla mano.
Delle circa seicento vittime di omicidio - su circa 60 milioni di anime - che annualmente si consumano, in media, nel nostro Paese solo una su sei, circa, è di sesso femminile.
Ed è così, fatte salve le parziali ma blande fluttuazioni statistiche registrate di anno in anno dagli organismi tecnici delle forze di polizia, da decenni.
Quindi, se l'aritmetica non è diventata un'opinione da un momento all'altro, quando una vittima su sei segnala un "femminicidio", cosa mai dovrebbero segnalare cinque vittime su sei? un complotto per estinguere la specie maschile? un'apocalisse quotidiana? uno sterminio di massa?
Giocare con i numeri è facile ma pericoloso come giocare con il fuoco, perché quando se ne evidenziano alcuni occultando gli altri si mistifica la realtà, fomentando il vittimismo di alcune a danno di altri, e si imbestialisce senza alcun vero motivo quella pubblica opinione su cui si intende fare leva per i secondi fini di un empowerment femminile che non conosce vergogna.
Le parole sono pietre - si diceva, difatti - ma questo elementare principio di responsabilità non sembra che valga anche per quelle seminatrici di odio (e quei miserabili seminatori di odio verso sé stessi) che continuano incessantemente a ripetere la stessa formula rituale con colpevole e disonesta insistenza: ogni tre giorni una donna è vittima di omicidio, spesso per mano di un uomo.
Vogliono scioccare, parlano alla pancia della gente piuttosto che alla loro testa, perché se così facessero dovrebbero anche ricordare, con la stessa astratta logica numerica, che sono quasi due gli uomini che ogni giorno (non ogni tre) cadono vittime di omicidio - anche per mano femminile - e quasi uno al mese i bambini inermi che sciaguratamente cadono vittime della follia, spesso impunita, delle madri.
Per non parlare dei mostruosi maltrattamenti di madri, badanti e maestre d'asilo, molti dei quali sepolti in una zona sommersa che di tanto in tanto affiora con immagini di sconvolgente prepotenza nei tiggì serali.
Ma questo non viene ricordato, perché non conviene alle strategie di empowerment femminile, alla promozione sociale della donna, al prestigio dorato e scintillante della nuova divinità pagana.
Decontestualizzare, è la parola d'ordine, poiché se certi fenomeni dovessero essere contestualizzati e ricollocati all'interno del quadro generale da cui traggono senso - gli indici di criminalità comparata - la propaganda antimaschile non sarebbe più così efficace.
Ma non ci facciamo bastare neanche queste spiegazioni, perché accettarle significherebbe riconoscere il livello di scellerata violenza che le neofemministe e i propri miserevoli accoliti di sesso maschile vanno infliggendo alla verità delle cose, il male che vanno seminando senza scrupoli.
Allora bisogna andare lì dove la strategia è scientificamente pianificata, studiata nei minimi dettagli e operativamente posta in essere.
E' così che possiamo scoprire un personaggio che abbiamo già avuto occasione di incontrare in altre precedenti riflessioni: Barbara Spinelli, l'esponente dell'associazione Giuristi Democratici, curatrice del famigerato "rapporto ombra" per il CEDAW dell'ONU.
Non è la sola, ovviamente, ma è quella che sul femminicidio ha scritto un libro che intende promuoverne, appunto, il riconoscimento sul piano giuridico, sia nell'ordinamento nazionale che nei trattati e nei principi del diritto internazionale.
Lì veniamo a conoscenza del fatto che con «femminicidio» si deve intendere la violenza posta in essere contro la donna «in quanto donna», come se la violenza verso altre categorie umane fosse di rango inferiore, più accettabile e giustificabile di quella commessa, appunto, nei confronti delle femmine.
Vaglielo a spiegare ad un gioielliere, ad un portavalori o ad un poliziotto che se vengono ammazzati siamo nell'ordinario - anche se vengono ammazzati in quanto gioiellieri, portavalori o poliziotti - e non in quel territorio straordinario e intangibile in cui i crimini sono più gravi degli altri; quello delle specie umane protette.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte all'identica foglia di fico dell'omofobia, un modo per affermare una malsana, spregevole e aberrante distinzione tra mondo della bontà - omosessuali e donne - e il mondo della cattiveria; uomini, ovviamente.
E per stabilire, anche in forma giuridica, che l'esistenza dei presunti buoni è più preziosa di quella dei presunti cattivi, che ai primi spettano tutele tutte speciali che ai secondi devono essere negate, che i diritti dei primi e delle prime devono essere anteposti e privilegiati ai diritti dei secondi.
Ogni vittima di omicidio o di violenza lo è in quanto - nell'irrazionale e perversa logica di un criminale - rappresenta un ostacolo alla propria esistenza che va abbattuto; il gioielliere è un ostacolo tra il malvivente e la ricchezza facile, analogo è il discorso per un portavalori, un poliziotto.
Per chiunque altro va indagato caso per caso e trovato il singolo movente che fa di quel tragico evento un avvenimento unico.
Che genere di ostacolo possa rappresentare una donna per un omicida non può essere desunto a priori classificandolo all'interno di uno schema precostituito, perché questa è la strada maestra verso il pregiudizio ed il processo sommario.
Verso la barbarie giuridica e la negazione dello stato di diritto.
Ed è esattamente lì che ci condurrà la scellerata menzogna del femminicidio se non si interviene ad ostacolarne la logica mostruosa.
Quella della criminalizzazione pregiudiziale di ogni uomo.
Sì, vale la pena riprendere a pubblicare.
Perché la battaglia è solo agli inizi e va combattuta fino in fondo.
Sono ancora qui.