Nel nostro squinternato Paese molte (troppe) anime belle si accalorano a raccontare che il baratto sessuale avrebbe ricevuto negli ultimi tempi un fondamentale impulso da Berlusconi, il quale ne avrebbe fatto subdola diffusione tra le altrimenti caste e virtuose giovinette italiche con la cultura edonistica delle sue televisioni commerciali.
Al di fuori degli angusti confini nazionali, al contrario, si continua a ragionare senza altrettanta fuffa ideologica ad oscurare la visuale e si osserva questo genere di cose con un tasso di realismo ben più attendibile e radicato nei fatti.
La conferma che il trend in materia è internazionale e non conosce affatto padri putativi con nome e cognome o grandi untori dell'habitat culturale - come le molte (troppe) anime belle vorrebbero farci credere - proviene, ad esempio, dalla sociologa Catherine Hakim della London School of Economics, la quale ha scritto un saggio pubblicato sulla European Sociological Review nel marzo scorso - poi ripreso, descritto e commentato da diversi organi di stampa nostrani - il cui titolo non dà adito a dubbi di sorta: «Il capitale erotico».
Il capitale erotico altro non sarebbe che quel complesso di qualità esteriori che vanno dalla bellezza al sex appeal, sino all'eleganza ed agli orpelli che favoriscono l'immaginario erotico (la Hakim individua sei o sette espressioni dell'esteriorità che sa rendersi appetibile) di cui le donne sono dotate in misura di gran lunga superiore agli uomini; e non solo perché la natura le ha dotate, in partenza, di tratti più delicati e graziosi degli altri ma anche perché, a differenza di questi, quelle dedicano una cura incessante e meticolosa - a tratti maniacale - all'accumulazione ed alla gestione di questi beni estetici.
Perché lo fanno? per un amore del bello fine a sé stesso? per adornare il nostro mondo su base volontaria? per un epico e indomito contrasto al demone della bruttezza? per trasformare la società in un luogo d'amore?
Ma niente affatto, dice la sociologa, che è una donna e può permettersi di dirlo senza rischiare la lapidazione morale, come succederebbe ad un uomo che si azzardasse a tanto: lo fanno molto semplicemente perché il richiamo erotico è un "capitale", un asset strategico sul quale fare leva ed affidamento in molte circostanze della vita.
Per dirla ancora più semplicemente è un potere e come tale va conservato, difeso ed incrementato.
Il capitale erotico, infatti, è detenuto in misura largamente prevalente, anche se non esclusiva, dal mondo femminile, per la banale ragione che queste risorse possono rafforzare il potere "contrattuale" di chi le possiede, trovando utile impiego non solo nella vita di relazione, ma anche per dare la scalata alle posizioni sociali più alte e, quindi, per migliorare il proprio status personale.
Rendersi belle e desiderabili, insomma, paga - dice la Hakim - e paga anche molto bene.
Sin qui, tutto sommato, nulla di nuovo sembrerebbe essere stato posto all'ordine del giorno; l'intera vicenda umana è caratterizzata da un'asimmetria che ha sempre visto, nella sfera sessuale, gli uomini disporsi dal lato della domanda e le donne da quello dell'offerta, con tutte le conseguenze del caso.
Prostitute, mantenute e spose per interesse - tutte forme di investimento sul capitale erotico - non sono certo una scoperta dei nostri tempi, né è mai stato riscontrato storicamente un analogo fenomeno a ruoli invertiti, quantomeno in proporzioni anche lontanamente analoghe.
Luisella Costamagna |
Quando vediamo nei programmi giornalistici e d'informazione quelle mezzobuste televisive che sembrano uscite dall'ultimo numero di Playboy piuttosto che da una redazione abbiamo il più immediato e chiaro esempio dei "vantaggi professionali" offerti dal capitale erotico di cui parla la professoressa di Oxford.
Ciò posto, tutti noi avvertiamo, anche solo intuitivamente, che questa analisi e questa descrizione della diseguale ripartizione del patrimonio sessuale e dei suoi dividendi tra uomini e donne entra in aperta contraddizione con la "narrazione" (per dirla con Vendola, regina delle anime belle) che normalmente si fa intorno alle questioni in argomento.
Quella narrazione evoca, infatti, scenari di sfruttamento, di logiche maschiliste e di infamanti corruzioni della verginale ingenuità femminile ad opera di satrapi immorali; la stessa narrazione, quella fatta dal femminismo vetero e dalle sue attuali epigoni, racconta dell'utilizzo strumentale che si consumerebbe sul "corpo delle donne", della sacralità violata, del turpe mercimonio subito da povere vittime inconsapevoli.
«Ma è il mercato, bellezza» - sembra voler rispondere la professoressa Catherine Hakim della London School of Economics di Oxford - ed è un mercato nel quale le donne detengono i capitali migliori e li sanno mettere a frutto con tutta l'oculatezza che serve; quindi, stanno meglio di quegli altri che, invece, soldi e posizione sociale se li devono sudare tutti, uno sull'altro.
Immediata la reazione del neo-moralismo femminista all'attentato teorico.
«La «sexeconomics» all'italiana è davvero un'espressione di modernità? - si chiede una delle tante giornaliste preoccupate del Corsera - La risposta è no. (dice lei, n.d.r.)»
Perché bisogna «liberarsi dal pensiero unico sulla femminilità (dice sempre lei, n.d.r.)» per dare spazio a tutte le altre qualità che le donne mettono in mostra.
Chissà se la giornalista sarà riuscita a convincere qualche lettrice a rinunciare alla chirurgia plastica per il seno o le labbra, quote di capitale erotico, che le tante donne "normali" corrono a farsi fare in numero sempre più largo.
Il femminismo non c'è riuscito, eppure ha inondato giornali, libri, talk show e piazze di teorie strampalate sui nuovi modelli di femminilità, tutti vagamente sovietici e pieni di zelo.
Stiamo a vedere.