Terrorismo psicologico

Io credo che nel nostro mondo imperfetto, se una percentuale di errore è ineliminabile dal sistema, è preferibile che un presunto stupratore con precedenti di molestie e notorio puttaniere finisca dietro le sbarre per un errore giudiziario piuttosto che un presunto reato di stupro rimanga per errore impunito. (Caterina Soffici)
Fonte: Il Fatto quotidiano.it 


Colpirne uno per educarne cento.
Con questo celebre principio operativo – terrorismo psicologico puro e semplice – Mao Tze Tung, finché in vita, sottopose al giogo della sua feroce tirannia l’intero popolo cinese riducendolo ad una massa indistinta di persone impaurite e di zelanti delatori.
Lo stesso motto, parola per parola, sarebbe stato poi ritrovato nel delirio dei comunicati delle brigate rosse che ne fecero, durante gli anni di piombo, la quintessenza della propria azione sovversiva; terrorismo, appunto, ossia imposizione di un clima di paura generalizzato.
Tanto l’uno quanto gli altri intendevano la “rivoluzione” come già l’avevano intesa i giacobini a suo tempo, i quali ghigliottinavano senza pietà chiunque fosse sfiorato dal semplice sospetto di essere nemico della rivoluzione e del popolo.
Niente affatto dissimile l’esistenza del cittadino medio nell’Unione Sovietica delle purghe staliniane, quando la perversa contabilità delle punizioni inflitte dagli “educatori” di Stato raggiunse cifre a sei zeri.
La strategia del terrore non è l’unico tratto in comune ai diversi soggetti storici menzionati, ciascuno dei quali, infatti, si è sentito legittimato a mantenere i propri simili in un clima di intimidazione e di paura in nome della stessa giustizia sociale, dello stesso mondo migliore, della stessa uguaglianza, dello stesso luminoso avvenire.
Sparare nel mucchio, calpestare gli innocenti, assecondare giudizi sommari e inscenare processi arbitrari - privi delle più elementari garanzie di difesa in giudizio - sono tutte cose utili allo scopo, quando lo scopo è ritenuto un’idealità superiore, una sacralità che ammette i sacrifici umani come un “male necessario”.
Il fine giustifica i mezzi anche per Caterina Soffici che in quanto a velleità rivoluzionarie non ha niente da invidiare a nessuno.
Sull’altare della sacralità femminea lei è più che disposta a praticare i sacrifici umani, anzi li invoca, li pretende.
Poco importa che questo significhi negazione dello stato di diritto, limitazione drammatica delle libertà personali, arbitrio del potere, imposizione di un clima di terrorismo psicologico al quale dovrà piegarsi l’intero genere maschile, perché quando una rivoluzione s’ha da fare, s’ha da fare e non c’è tempo di guardare tanto per il sottile.
E la rivoluzione femminista di Caterina Soffici avanza ad ampie falcate, con il suo clima di intimidazione e di paura generalizzata, nella luminosa prospettiva del mondo migliore, della giustizia sociale e dell’uguaglianza totale.
Caterina Soffici se la ride
Sì, perché Caterina Soffici può essere presa per una becera estremista, gli si può concedere il credito che si concederebbe ad una ayatollah delle cause femminili, si possono scrollare le spalle per i suoi eccessi, ma la verità è che lei dice ad alta voce e senza neanche un minimo di pudore o di vergogna – e forse proprio per questo – ciò che viene già praticato, nella sostanza, nella gran parte dei tribunali italiani e dell’intero mondo occidentale.
Dove la presunzione di colpevolezza, negli asseriti casi di stupro, ha preso il posto della presunzione di innocenza e dove la denuncia della sedicente vittima equivale a prova in giudizio.
O trovi il modo di discolparti in proprio, come abbiamo visto nell’articolo precedente, o sei fregato.
I processi in materia sono diventati processi politici, allo stesso modo di quelli storicamente subiti dai dissidenti nelle dittature di questo o quel proletariato in marcia.
Il “maschio” va piegato nell’intimo, deve vivere nella paura di essere, da un momento all'altro, raggiunto da un’accusa di stupro; fondata o infondata è del tutto irrilevante.
Ultimo in ordine di tempo – ma si tratta di ore, ormai, né di giorni o di settimane – il caso di Padre Fedele Bisceglia, il frate cappuccino accusato da una suora di violenze sessuali che si sarebbero verificate anni addietro.
Padre Fedele Bisceglia
Stando alle notizie diffuse, il giudizio si sarebbe basato unicamente sulla parola di lei contro la parola di lui, sarebbe stata presa in considerazione l’esuberanza caratteriale del frate – notoriamente appassionato di calcio - come indice di colpevolezza e nessun riscontro oggettivo avrebbe accompagnato la sentenza a nove anni e tre mesi di reclusione a carico del religioso.
La suora avrebbe dichiarato di essere soddisfatta per le altre donne, come se fosse un’affermazione di categoria.
Cruciale, infatti, come in ogni rivoluzione che si rispetti, il ruolo della delazione, da cui l’invito generalizzato alla denuncia facile che sentiamo ripetere tutti i giorni: le donne non denunciano abbastanza, gli uomini non vivono tutti nella paura.
Sicché, anche oggi Caterina Soffici può brindare alla sua rivoluzione che avanza seminando incertezze e timori tra gli odiati “maschi”.
Le sue sono tutt’altro che parole al vento.
Sono vive e operanti tra noi.