Veicolare messaggi e suggestioni rivisitando il passato in nome di principi di moda nel presente è uno degli artifici narrativi di cui il cinema si rende spesso protagonista.
Sintetizzando molto, si potrebbe dire che la libertà espressiva di alcuni cineasti si sbizzarrisce in racconti improbabili della storia, al fine di simulare - la simulazione è la quintessenza del cinema - percorsi alternativi grazie ai quali si sarebbe potuto realizzare una società migliore, un mondo migliore, un'umanità migliore.
Ideologia, insomma, calata in braghe di celluloide.
Se pensiamo al cinema di Moore o "Il codice da Vinci", ad esempio, sappiamo di cosa si parla.
Sembra essere questo anche il caso di un film uscito da poco nelle sale - "La papessa" - che sicuramente non è il caso di andarsi a vedere, per non farsi turlupinare dal grande schermo, anche dopo avere letto la recensione di Beppe Musicco su Il Sussidiario.
"Costantemente oscillante tra il libello storico e il romanzo rosa, La Papessa è un film malriuscito su entrambi i fronti, a partire dalla scelta dell’attrice protagonista, cui non bastano certo un saio e i capelli corti per sembrare un uomo. Ciò nonostante, non c’è ecclesiastico (dai pingui e ottusi abati, ai perfidi vescovi romani) che abbia il minimo sospetto."
La storia - tratta da un romanzo di Donna Cross ma risalente, come leggenda, nel tempo remoto - ruoterebbe intorno alle vicende della giovane figlia di un sacerdote britannico il quale, ovviamente, sarebbe un violento despota familiare, nel solco del più ritrito copione femminista della storia di secolare oppressione delle donne.
Peripezie a parte, che non ci interessano, la tizia riuscirebbe a spacciarsi per un uomo e ad entrare, in tale modo, come monaco benedettino nel monastero di Fulda, dove eserciterebbe le arti mediche.
"Johanna sembra attratta dalla cultura, ma alla fine - scrive Musicco - tutto il suo talento prodigioso, che le permette di leggere e conversare in latino fin dalla più tenera infanzia, si riduce al preparare decotti e tisane. È ovviamente saggia, di buon cuore e generosa (doti che nel film sono precluse a tutti gli uomini), ma non si capisce perché voglia fare il monaco a tutti i costi, visto che non sembra mossa dalla fede e si innamora fin dalle prime scene del film"; tra l'altro, nonostante tanta debordante carica ieratica, nel film rimarrà pure incinta del suo amante.
Le sue doti extraordinarie (perché donna...?) le consentirebbero di arrivare ad essere il medico personale di Papa Sergio e, alla sua morte, ad essere acclamata pontefice da un popolo ignaro di essere stato così bellamente infinocchiato.
La morte prematura durante una processione le impedisce di "rivoluzionare" la storia della Chiesa, lasciando (probabilmente) nello spettatore sprovveduto - goloso di simili dietrologie a buon mercato - il dubbio di come sarebbe stato bello e come saremmo tutti più felici se a governare il Soglio di Pietro fossero state le donne; il mitologico "empowerment femminile" in salsa cristiana, di moda oggi, calato nel passato remoto per incrementare il senso di disdetta.
"La pubblicità del film naturalmente cerca la provocazione: 'Uno dei più grandi segreti della Chiesa' (gli altri sono probabilmente quelli svelati dai romanzi di Dan Brown), adombrando il solito complotto clericale per tenere lontane le donne dal potere, dalla cultura e dalla vera fede" - aggiunge Musicco.
Un vero e proprio manifesto femminista, per dirla altrimenti, attraverso il quale vengono veicolati messaggi di apologia del femminile, di contestuale denigrazione del maschile, che scivolano imperterriti anche dalle sale cinematografiche sino alla completa, acritica e definitiva assuefazione del popolo bue.
Fortunatamente rimangono alcune voci libere, anche se non molto ascoltate, a ricordarci che quella della papessa Giovanna è una pura e semplice leggenda - a scopi di propaganda - e che "l’unica certezza della papessa è che è una figura di un noto mazzo di carte: la papessa, insomma, è un tarocco e niente più. La Papessa anche."
Grazie a Beppe Musicco per l'avvertimento...