In effetti, questo articolo è la naturale prosecuzione del precedente - quello preparatorio e propedeutico a questo - dove i concetti di lotta alle discriminazioni, annullamento delle diversità umane, demolizione della famiglia naturale e parificazione sociale ai fini dell'eguaglianza statisticamente misurabile potranno apparire, forse, in modo più tangibile e diretto in relazione alla QM, oltre che nel loro aspetto coattivo ed impositivo cui già si è accennato.
Il tema è, naturalmente, la "discriminazione" delle donne nel mercato del lavoro.
La soluzione prospettata: l'ennesima agevolazione giuridico-burocratica che sta alle capacità femminili come una corsia preferenziale sta alla velocità degli autobus nel traffico cittadino.
La proposta trarrebbe origine da un libro pubblicato nel 2009 dagli economisti di sinistra (non a caso) A. Alesina e A. Ichino: "L'Italia fatta in casa" edito da Mondadori ma, in realtà, la loro idea era in gestazione da tempo e la teorizzazione ufficiale - oggetto di ampie risonanze nel mondo politico e giornalistico - risale, da parte degli stessi autori, ad articoli di alcuni anni prima proposti dalle colonne del Sole24ore e, in quella stessa sede, poi, sviluppata ed ampliata da altri favorevoli interventi.
Di cosa si tratta?
E' semplice e netto come un taglio chirurgico: "ridurre le tasse sul reddito da lavoro per le donne e aumentarle per gli uomini".
Ma non sarebbe una discriminazione a sua volta?
Sì, ma nella logica degli ingegneri sociali ci sono discriminazioni inammissibili (quelle a danno delle donne, degli omosessuali, degli immigrati, etc.) e discriminazioni ammissibilissime se non, addirittura, giuste; ovviamente, si tratta di quelle a svantaggio del mondo maschile.
Se qualcuno pensasse che aberrazioni simili restano solo sulla carta e sia aria fritta che resta appesa alle pagine di qualche pubblicazione editoriale deve prontamente ricredersi.
La proposta è stata fatta propria dal mondo politico (di sinistra, ma non solo) e su quelle basi sono stati presentati diversi disegni di legge - di iniziativa parlamentare, non governativa - attualmente all'esame delle Camere.
Tra questi, l'atto senato n. 2102, presentato il 13 aprile scorso dai Senatori Morando, Ichino ed altri del PD, già assegnato alla Commissione Finanze e Tesoro, e il disegno di legge n. 784, presentato il 13 giugno 2008 da parlamentari dello stesso PD e che, probabilmente, verrà riassorbito dall'atto più recente.
Si legge nella relazione introduttiva del disegno di legge n. 2102:
"....il presente disegno di legge propone, in via sperimentale, una semplice misura di incentivazione fiscale che mira direttamente a promuovere il lavoro delle donne, in funzione del raggiungimento dei traguardi fissati dalla citata strategia di Lisbona.......La misura non può essere qualificata come discriminatoria in ragione del genere dei lavoratori, dal momento che essa è – tutt’al contrario – esplicitamente mirata a superare un assetto socioeconomico produttivo di effetti discriminatori a carico delle donne: essa può e deve dunque essere qualificata come «azione positiva» volta a raggiungere un obiettivo al cui perseguimento la Repubblica italiana è vincolata dall’Unione europea.
La norma punta esplicitamente a far sì che, a parità di reddito percepito, il prelievo IRPEF su quello della contribuente lavoratrice donna sia significativamente inferiore a quello esercitato sul reddito identico del lavoratore maschio".
Insomma, i maiali di Orwell provengono sempre da sinistra, fanno strada e mistificano le parole per farle digerire meglio agli animali della fattoria.
La questione - solo brevemente accennata - non ha mancato di suscitare reazioni di cui tratterò in un articolo specifico, anche per le notevoli implicazioni sotto il profilo, non solo dell'equità giuridica, ma anche degli equilibri socio-familiari, dei presupposti di valore e delle conseguenze anche sul piano individuale.
Al momento, quello che è opportuno segnalare è che le uniche vere obiezioni sono venute dal mondo Cattolico - neanche da tutto il cdx - e non è un fatto casuale.