Quello che i sassi non sanno

Domani è l'otto marzo, una data da riferire in lettere piuttosto che in cifre in quanto è una data celebrativa, con un significato simbolico.
Non serve ricordare chi o cosa si celebra, lo sanno anche i sassi che non sono interessati alle cose umane, figuriamoci.
Quello, però, che i sassi non sanno e che andrebbe fatto osservare anche ai soggetti animati - i quali, al contrario, dovrebbero saperlo bene - è che la celebrazione di domani è solo la ridondante riproposizione, in chiave ufficializzata, di un fatto abituale e quotidiano.
Un pò come se si decidesse di festeggiare, in qualche giorno dell'anno, la comodità dei letti o la bontà del pane.

Già, perché solo i ciechi o i sordi o altri sfortunati privi del bene della percezione o del comprendonio potrebbero non essersi accorti del fatto che la nostra epoca, la nostra cultura, il nostro tempo è una celebrazione costante e sistematica, oltre che diuturna, del femminile in tutte le possibili salse.
Il corpo femminile occhieggia malizioso da tutti gli angoli visibili della città, spesso vestito, molto più spesso nudo o seminudo.
Sorrisi femminili ci blandiscono, accattivanti, da ogni pubblicità murale, editoriale, televisiva e internettiana; solo la radio risente di questo deficit visivo al quale sopperisce, comunque, con voci femminili suadenti e persuasive.
Per non parlare delle risonanze planetarie che assumono, nel mondo dell'informazione, notizie come quelle della prima donna che ha guidato il taxi o l'autobus, della prima alpina, delle prime leve di ufficiali donna, della donna che ha inventato la minigonna o di quella che, per prima e probabilmente anche per ultima, fa la palleggiatrice di professione e vuole sfidare Ronaldinho sul suo terreno.
La prima donna-regista-da-oscar è solo l'ultima arrivata nella galleria idolatrica in questione.
Non mancano, naturalmente, in questa agiografia di sistema, coloro che arrivano ad acclamare nuove teorizzazioni caserecce della razza superiore, sostenute da pseudo scientismi indimostrati - anzi, storicamente smentiti dai fatti - intorno al migliore "funzionamento" del cervello femminile rispetto a quello maschile; giustificato, in genere, dal banale fatto che le donne sono più emotive degli uomini (come se questo non potesse essere visto come un limite piuttosto che come un pregio).

Insomma, mentre il mondo intero non fa altro che parlare di donne, dalla mattina alla sera, in modi talmente apologetici da risultare quasi farneticanti, si ritiene doveroso continuare a dedicare alle "povere dimenticate" un giorno speciale perché siano celebrate ancora più di quanto non sia ormai abituale routine quotidiana.

L'alibi di questa contraddizione in termini ce la offre, sintomaticamente, la povera e discriminata M. L. Rodotà, che dalle pagine del Corriere  ulula la sua abituale lamentazione vittimistica, proclamando ai quattro venti che "ci danno valore solo in base all’età, all’aspetto e all’acquiescenza", come se esistesse un qualche tribunale del "valore" umano che non vedesse le donne stesse nello scranno della giuria se non, direttamente, in quello sovraordinato del giudice.
Il giorno da celebrare veramente sarà - io credo - quello in cui le donne smetteranno di fare del vittimismo a getto continuo, colpevolizzando sistematicamente gli uomini e un indistinto "loro" - un nuovo grande vecchio planetario affetto da un altrettanto indistinto "maschilismo" - per responsabilità che dovrebbero imparare a riconoscere anche e soprattutto in sé stesse.
Invece, domani è il solito, mistificatorio ottomarzo pervaso dal solito, mistificatorio vittimismo.