Se il progresso è una patologia





Mi capita sempre così quando sfoglio un settimanale, vado in ansia.
Non è per le cattive notizie, le sciagure, i disastri o roba simile, che sono piuttosto raccontate con tanto di particolari dai cronisti dell’informazione quotidiana.
E’ proprio la mercanzia dei settimanali - o dei quindicinali o dei mensili o dei periodici comunque denominati che si occupano di attualità, costume e cultura - che mi compulsa il sistema nervoso.
Insomma, quella parte della cosiddetta informazione che non fa cronaca, ma opinione e tendenza e che ci vorrebbe informare su come cambia il mondo e perché.
Che sembrerebbero, sì, informazioni pure quelle ma non sono fatti accertati, bensì generalmente pronostici, ipotesi allo studio, alla peggio congetture buttate lì; insomma teorie, supposizioni, a volte profezie sinistre.
Se il sospetto è che si tratti della famigerata self-fulfilling prophecy teorizzata da Merton (la profezia che si autoavvera) forse non siamo così lontani dal vero.
Una cosa del tipo: «stai attento che potrebbe succedere questo oppure quello o quell'altro» e tu senti, mentre leggi, che in qualche modo devi farti trovare preparato, non puoi farti cogliere in fuorigioco, non puoi più dire non lo sapevo - sempre ammesso che la teoria sia corretta (ma tanto domani non se ne ricorderà più nessuno se era corretta o meno) - e pertanto cominci ad adattarti alla prospettiva assecondando l'eventualità "come se fosse vera".
Quindi, contribuendo in qualche modo alla sua realizzazione, se non diretta quantomeno indiretta, nelle sue conseguenze.
Prendi il settimanale Panorama di questa settimana, ad esempio, e non fai che registrare una divinazione dietro l’altra.
A Rosarno, provincia di Reggio Calabria, pagina 23, si preannuncia una nuova rivolta degli immigrati per la raccolta delle arance; niente di certo ma comunque probabile che succeda dopo il suggerimento.
A pagina 37 si ipotizza una maxifusione prossima ventura tra Intesa SanPaolo e Unicredit e - tanto per non farsi cogliere di sorpresa sugli scenari economici - a seguire si prefigurano le linee guida per uscire dalla empasse della fondazione San Raffaele, nel mentre si scrutano anche le cordate all'orizzonte per rilevare l’Ansaldo dalla Finmeccanica.
Anche qui niente di certo, né tantomeno probabile, solo ipotesi.
Più avanti si fanno scommesse sul successore di Sarkoszy nella destra francese mentre per gli “scenari mondo” si preavvisa che, dopo New York, ci saranno molte altre città costiere candidate a finire sott'acqua, per tremila miliardi di dollari di danni prevedibili e 40 milioni di persone a rischio.
Certezze? zero!
Veniamo ancora messi al corrente del fatto (ossia, non proprio un fatto ma tutt'al più un antefatto, naturalmente presunto) che l’Argentina va incontro ad un nuovo default e, a parte questo, per la buona coscienza “social” di noi tutti, dobbiamo sapere che ci sarebbe un modo di sapere (e non è un gioco di parole) che impronta lasciamo sull'ambiente da qui al futuro.
Tutto disgraziatamente aleatorio pure qua ma intanto chi deve regolarsi di conseguenza si regoli.
Ancora non avevano fatto il nuovo presidente degli USA, al martedì di uscita del settimanale, che già gli avevano apparecchiato la domanda delle domande: «e adesso Mr. president?»
Dico, dateci il tempo di conoscere il nome, almeno, che così la faccenda si fa isterica.
Per non parlare dei «prossimi dieci anni del dragone» con una gamma inesauribile di interrogativi irrisolti sul domani della Cina che va affrontando il XVIII° congresso del partito comunista: più export o più consumi interni? favorire le banche di stato o quelle private? ampliare la libertà di circolazione o no? ….e via almanaccando così dei fattacci loro per illuderci di poterli controllare o, comunque, di poterci adattare noi ai loro cambiamenti in forma preventiva da qui alla prossima decade.
Perché poi l'ossessione che traspare da tanti sforzi previsionali è quella del controllo degli avvenimenti, della cancellazione del caso dalla vita, della rigorosa pianificazione del futuro.
Non fai in tempo a riprenderti dalle premonizioni mondiali di breve medio periodo, osservate da questa specie di palla di vetro a comparsa settimanale, che precipiti nelle trasformazioni tecnologiche e scientifiche, con ripercussioni sul sociale se non addirittura sul personale, senza speranza di pause.
Così ti rendi consapevole, da pagina 58 a pagina 66, che tramite internet puoi scoprire se ti ama o non ti ama, che perfezionisti si nasce e non si diventa, che esistono le lampadine intelligenti e che gli antibiotici potrebbero diventare il nuovo spauracchio del millennio.
Mentre leggi la realtà ti cambia davanti agli occhi con una velocità tale che, se alzi lo sguardo dalla rivista e ti guardi intorno, le tue cose abituali di tutti i giorni, magari comprate da poco e pure di ultima generazione, sembrano già modernariato.
Il presente insomma non esiste quasi più in quella pubblicazione, perché è quasi tutto in proiezione futura, premonizione, divinazione, sforzo di prevedere cosa saremo e cosa faremo domani e dopodomani.
Una sorta di grande fratello indiretto, con l'occhio vigile, innescato dal terrore collettivo dell'ignoto che si prospetta davanti a noi.
Il mito del progresso, per chi se ne nutre, consiste in questo: che tutto sia previsto, osservato, controllato e che nulla sia lasciato al caso.
Che è anche un delirio di onnipotenza, a pensarci bene, cioè una sintomatologia di chiara matrice patologica.
Ora, mi si potrà obiettare che se voglio essere semplicemente informato, senza accendere ipoteche sul futuro e farmi venire il coccolone, potrei tranquillamente limitarmi alla lettura dei quotidiani.
Il che sarebbe in parte vero ma solo in parte.
Intanto perché non è di come mi sento personalmente che volevo ragionare, quello semmai è un indizio da cui sono partito.
In secondo luogo, perché persino i più preparati faticano a distinguere i fatti dalle congetture anche nei quotidiani (e non è un bel traguardo per il mondo dell'informazione, nell'epoca delle convinzioni scientifiche asseritamente positive).
In terzo e più decisivo momento, però, è perché la prova del nove arriva sempre, per qualunque periodico e per qualunque sistema informativo, che lo si voglia o meno; il che succede inevitabilmente quando ci si deve esprimere al tempo presente.
Quotidiano, settimanale o semestrale che sia, nessuno può esimersi infatti dal rendicontare il dibattito politico in corso e le novità sul tappeto in materia pubblica.
Ed è qui che casca l'asino mentre il futurismo dell'avvenire controllato getta la propria sciocca maschera esteriore.
Allora realizzi che la materia del contendere attuale è la medesima di Quintino Sella, il quale introdusse la "lesina delle spese", rispetto a Giovanni Giolitti il quale a sua volta volle tassare maggiormente i ricchi con la sua fiscalità progressiva.
Oggi le belle statuine si chiamano Oscar Giannino e Niki Vendola, tra gli altri, ma la sostanza è sempre quella, pari pari, ad oltre un secolo e passa di distanza.
Quindi, cos'è cambiato realmente nelle idee che animano le questioni pubbliche?
Nulla.
E cosa è cambiato nei bisogni umani da un secolo o da dieci secoli a questa parte?
Nulla.
E quindi che cavolo significa progresso?
Nulla di preciso, a pensarci bene, ma genericamente che il nostro futuro sarà composto da tante self-fulfilling prophecies belle e confezionate.
C'è chi lo trova rassicurante?
Forse sì, ma io lo trovo ansiogeno.
Chi sta messo peggio?