Intorno al sexygate

Tiziano/a Scarpa
Tra le moltissime scempiaggini che continuano a volteggiare intorno al presunto sexygate del Presidente del Consiglio – di cui questo link al Giornale offre un significativo ed esilarante campionario – la più comica mi è sembrata quella che sarebbe stata pronunciata da tale Tiziano Scarpa, di professione scrittore, il quale, intervistato per la speciale occasione da Repubblica, ha reso noto con queste parole il suo stato d’animo politico-emotivo per la vicenda: «…se fossi una donna sarei incazzata. E siccome sono una donna, perché come tutti dentro di me c'è un po' di maschio e un po' di femmina, sono molto incazzata anch'io».
Convinto (e convinta, un po’ e un po’) da qualche teoria psicologica all'ingrosso di avere dentro di sé quel po’ di femmina incazzata pure senza avere mai avuto una mestruazione in vita sua, Scarpa annuncia così la sua partecipazione – quantomeno emozionale, se non personale – alle manifestazioni che le sinistre hanno indetto per il prossimo 13 febbraio, allo scopo di rivendicare, come sembra, “la dignità delle donne”.
Dico 'come sembra' perché, intendiamoci, non sfugge a nessuno che l’occasione sarà, semmai, un altro dei tanti modi trasversi ed indiretti con i quali vanno cercando, da anni, di abbattere la maggioranza di centrodestra.
Se persino un comunista duro e puro come Piero Sansonetti ammonisce - con l’onesto appello a fermare la deriva moralistica, sottoscritto dalle pagine de gli Altri - che non tutti i fini politici giustificano i mezzi impiegati, l'evidenza della questione è palmare.
Ma, a parte questo, come abbiamo già osservato in un altro momento, il merito della contrapposizione che sarà urlata su piazza porterà, alla fine della fiera e comunque la si voglia mettere, al medesimo risultato. La manifestazione vorrà essere, in ogni caso, quella della parte politicamente corretta contro quella scorretta, del paese sano contro quello malato, dei migliori contro i peggiori, dei buoni contro i cattivi, del bene contro il male; quindi, delle donne contro gli uomini.
Stanno venendo, in questo caso, al pettine tutti i nodi e le contraddizioni e le forzature di senso etico con le quali si affronta, da sempre, il tema della prostituzione e il suo rapporto con la dignità femminile.
Scrive, infatti, Lea Melandri sempre dalle pagine de gli Altri: «Trasformate in merce di scambio, oggetti di piacere, trastullo del sovrano, ma pur sempre donne che hanno scelto di essere in quel luogo, di fare della loro bellezza una fonte di guadagno. Si può dire che scegliere non significa di per sé essere libere di scegliere ma.......bla bla bla»
Eccola la contorsione ideologica, l'inghippo concettuale grazie al quale si ribalta il senso della questione e si esonera la donna da qualunque responsabilità personale; "si può dire che scegliere non significa di per sé essere libere di scegliere". Ma allora che vuol dire.....?
Trasformate da chi, se lo hanno scelto loro stesse?
Ha spiegato qualcuno alla Melandri che non si sta parlando di nigeriane clandestine ma di figlie di mamma nostrana soddisfatte e viziatelle?
Quand'è che si ha scelta senza avere, al tempo stesso e per definizione, libertà di scelta?
Di quale libertà condizionata va almanaccando senza senso Lea Melandri?
Lei non si avventura ulteriormente su un terreno tanto sconclusionato - com'è normale che sia per chi si arrabatta sugli specchi - ma ci possiamo arrivare per nostro conto mettendo insieme i pezzi sfrangiati e senza basi dell'indignazione popolare tanto al chilo che mobilita le donne progressiste e i tipi alla Scarpa.
Non sarà sfuggito ai più attenti, infatti, che in questi giorni e su questo tema si va facendo, dagli stessi pulpiti di sinistra che porteranno in piazza la "dignità delle donne" - come se fosse una rivendicazione politica collettiva e non un fatto personale - un uso a dir poco inquietante del termine "modelli".
Ruby
E' talmente connaturato al DNA di chi tiene il cervello a sinistra che gli individui non posseggano una propria autonomia di pensiero e che, pertanto, debbano essere pilotati da "modelli" di comportamento decisi da qualcuno per tutti, che tutto ciò che accade nella vita pubblica e privata dovrebbe, secondo loro, essere ricondotto ad una modellistica universale.
Sono modelli sbagliati, si affannano a ripetere, come se il popolo bue non avesse altra aspirazione che quella di assomigliare ad un modello.
E' questa la concezione dell'individuo, maschile o femminile che sia, che anima i loro ragionamenti collettivizzati; l'individuo va indottrinato all'interno di un modello che deve essere civico, solidale, morale secondo canoni imposti dalla loro cultura egemone.
La dignità delle donne, questo bene collettivo indistinto, diventa così l'occasione per riformulare un codice della moralità su basi politiche; ossia, una mostruosità etica del tutto analoga a quella della "sexkoplagen" svedese, per la quale «vendere sesso non è reato (e neanche peccato) comprarlo sì».
La dignità delle donne che scenderà in piazza il prossimo 13 febbraio sarà quella di chi vuole lo Stato etico, spacciando come "progressista" la riduzione dell'individuo e delle libertà personali a colpi di decreto legge.
A quest'ultimo riguardo merita, infine, una sottolineatura in rosso l'ennesima stridente contraddizione dei moralizzatori di sinistra, anch'essa colta e denunciata dall'onestà intellettuale - che gli va riconosciuta - di uno come Sansonetti.
Quelle e quelli che oggi starnazzano il loro "basta" - senza spiegare a cosa di preciso dicano basta; alla prostituzione? - sono le stesse e gli stessi che dal sessantotto in poi, a cominciare dai femminismi, hanno cavalcato tutti i temi del libertinaggio sessuale chiamandoli "libertà" e arrivando a portare in Parlamento personaggi come cicciolina e luxuria; le stesse e gli stessi che vanno rivendicando, da sempre, l'inalienabile diritto della donna all'espressione del proprio corpo, alle minigonne, alla vita bassa e alle mutande in vista.
Gli stessi e le stesse che predicano l'annientamento dei valori e delle tradizioni familiari.
Oggi, questi moralizzatori laici, queste sacerdotesse in servizio permanente effettivo della doppia morale femminile, dicono basta senza rendersi conto che lo stanno dicendo a sé stessi ed a sé stesse.